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Settembre 8, 2024, domenica

La social card “Dedicata a te” e il sentore delle “Poor Laws”: le leggi per arginare la povertà nell’Inghilterra vittoriana

Dal 18 luglio è operativa Dedicata a Te, la social card da 382,5 euro da utilizzare per acquistare beni di prima necessità rivolta alle famiglie con ISEE fino a 15.000 euro. La misura ha subito varie critiche dall’opposizione per la sua ”limitatezza”; e in realtà ricorda quel genere di leggi definite Poor Laws nate in Inghilterra nel tardo Medioevo, in piena epoca Tudor, consolidandosi successivamente in piena epoca vittoriana con l’avvento delle Workhouse.

La social card ”Dedicata a te” e le Poor Laws: qual è il filo conduttore?

Poor laws

Le Poor Laws erano un sistema assistenziale, sviluppatosi nell’attuale Regno Unito, rivolto alle fasce povere della popolazione a partire dal Medioevo. La prima forma di Poor Laws risale a Edoardo III d’Inghilterra il 18 giugno del 1349, la nota Ordinanza dei Lavoratori promulgata in seguito all’impoverimento generale venutosi a creare come conseguenza all’epidemia di peste del 1348.

Tuttavia, l’avvio dell’iter legislativo delle Poor Laws parte dal 1572 basandosi su strumenti assistenziali appartenenti all’epoca Tudor che promettevano aiuti a mendicanti e vagabondi. La storia delle leggi per poveri si scinde, storicamente, in Inghilterra in due parti: gli statuti Old Poor Laws emanati durante il regno di Elisabetta I e le New Poor Laws approvate nel 1834. Nel disegno di legge si varavano nuove modifiche più moderne, rispetto alle misure precedenti, e nello specifico si stabiliva una centralizzazione dell’assistenza con la creazione di workhouses. Il sistema previsto dalle Poor Laws rimane fino al 1948 quando, successivamente, si giunge alla National Assistance Act.

La povertà può essere arginata con leggi ad hoc ma fatte dai ricchi?

In epoca vittoriana la povertà diviene una tematica dilagante e molto sentita, soprattutto nelle città industriali dove alcuni quartieri diventano sempre più fatiscenti. I bassifondi londinesi, definiti slums, iniziano a formarsi durante la metà del diciottesimo secolo quando la popolazione di Londra aumenta senza precedenti. Londra è divisa in due: da un lato i quartieri signorili, dall’altro i bassifondi in cui viveva la popolazione più ai margini.

La risposta alla povertà, in epoca vittoriana, sono state le workhouses; case lavoro nate con l’idea di fornire ai più poveri un giaciglio e un alloggio mentre in cambio si svolgevano delle mansioni lavorative. L’idea iniziale delle workhouses naufraga fin da subito: nella pratica, la realtà è molto diversa e ben si evince anche leggendo Charles Dickens.

Le famiglie erano separate: uomini da una parte, donne dall’altra, stessa cosa i bambini. Le condizioni di vita erano disagianti, quasi al limite della sopravvivenza; si esortavano i poveri a lavorare per migliorare la propria condizione sociale che, di fatto, non avveniva. In questo periodo le case di lavoro diventano simili a carceri dai lavori forzati: chiunque poteva lavorare era obbligato a farlo in cambio di miseri pasti e di un letto.

Chi entrava doveva rinunciare ai propri abiti e i vestiti da lavoro erano divise carcerarie; per qualche tempo si assiste anche alla stigmatizzazione di prostitute e donne single ma incinte che avevano l’obbligo di indossare, rispettivamente, un vestito giallo e rosso.

Alcune fonti dicono che l’alimentazione fosse bilanciata ma la realtà risulta ben diversa. Sempre leggendo Dickens si evince come nelle workhouses peggiorasse lo stato di denutrizione fino a far morire i più deboli. I pasti si limitavano a una brodaglia diluita; la carne era rara. L’educazione verso i bambini si limitava a punizioni, l’istruzione quasi assente.

Avevano quindi richiesto alla direzione dell’acquedotto una fornitura limitata di questo liquido elemento e con un grossista di farine e di sementi modeste e periodiche forniture di farina di avena; avevano quindi ordinato che si servissero, tre volte al giorno, pappe non molto solide, cipolle fritte due volte alla settimana e il pane la domenica.

Charles Dickens, ”Oliver Twist”

Poor Laws, la povertà non è una colpa: un parallelismo con la social card ”Dedicata a te ”

Risulta chiaro che il progetto workhouses fallisce ancora prima di ingranare: come ogni legge fatta da persone abbienti che non conoscono la reale impellenza di agire su una povertà dilagante in modo concreto. Secondo la mentalità vittoriana essere poveri era una ”colpa”: il misero aveva meritato tale miseria, non aveva fatto nulla per elevarsi oltre il suo status. Fortunatamente oggi si è consci che vivere in una condizione di povertà equivale alla somma di molte variabili che si potrebbero sintetizzare analizzando il concetto di Habitus introdotto, in tale accezione, dal sociologo Pierre Bourdieu.

Tuttavia, anche in epoca moderna ancora coesiste questo preconcetto così come esempi di Poor Laws di vittoriana memoria. Le acute osservazioni di Charles Dickens mettono in luce una realtà tangibile e attuale: la finzione, ovvero, le storie che i potenti e i ricchi si raccontavano sui poveri senza conoscere un solo giorno di povertà. La nuova Carta Solidale Acquisti “Dedicata a te” potrebbe essere un esempio di Poor Laws; un contributo governativo da 382 euro per acquisto di generi alimentari di prima necessità presso esercizi convenzionati.

Forse un tentativo troppo poco inclusivo per arginare la povertà; per prima cosa sarà erogato una sola volta e, fra le altre cose, la cifra risulta abbastanza irrisoria. Per di più si tralascia una tematica importante che ha radici in quella idea di ”colpevolezza” dell’esser poveri riducendo un concetto in cui confluiscono numerose variabili; povertà non è sinonimo di colpa, né un’etichetta da esibire. Bisognerebbe, parafrasando Pietro Nenni, portare avanti tutti quelli che sono nati indietro: o, almeno, questo dovrebbe essere l’auspicio.

Poor Laws: limiti del progetto Social Card

Il progetto Social Card non prende in considerazione la mancanza di equità nella ridistribuzione della ricchezza; non supporta, non sostiene, costringe il povero a denunciarsi come tale davanti alle istituzioni, e quindi a umiliarsi, ogni volta che si accingerà a far la spesa esibendo una tessera che è a conti fatti una vera e propria etichetta veicolo di esclusione sociale. Elargire poco più di 1 euro al giorno può considerarsi un sostegno? Per di più il progetto risulta claudicante anche nei limiti di spesa: alcuni alimenti si possono comprare, altri no.

Sembra quindi che si decida, in questo caso, cosa ha diritto di mangiare un povero. Lo strumento solidale pensato per aiutare chi verte in condizioni di miseria risulta troppo lacunoso e discriminante;  i single e le coppie senza figli non possono beneficiare dei 382 euro di buoni spesa, in quanto la social card è riservata ai nuclei familiari composti da almeno tre persone. La priorità di assegnazione si dà ai nuclei familiari con almeno uno dei componenti sotto i 14 anni; una famiglia con figli liceali risulta, quindi, esclusa. La social card è una tantum e non ricaricabile: è molto chiaro come il progetto non possa essere considerato una misura di contrasto alla povertà.

Provando a ricreare un parallelismo storico tale misura è molto simile alle Poor Laws: bisognerebbe, almeno, tentare la creazione di strumenti più inclusivi in cui si rifletta un bacino di beneficiari più ampio e che si concretizzi come sostegno costante per le fasce povere, senza limiti o soglie da rispettare che si configurino quasi come barriere invalicabili. Insomma, uno strumento davvero solidale come l’etimologia e la semantica dell’aggettivo suggeriscono.

Stella Grillo

Photo Credits: The English Library

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