La spia di Mosca: crisi fra Italia e Russia?

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Di Redazione Metropolitan

“Un caso di spionaggio classico” l’ha definito Luigi Sergio Germani, direttore dell’istituto Gino Germani di Scienze sociale e Studi strategici, esperto di Russia e di Intelligence. Quello avvenuto tra l’ufficiale ‘infedele’ e la spia russa, nella zona a sud della Capitale, era una prassi: i due si incontravano sempre nello stesso posto, in un angolo anonimo alla periferia di Roma – quartiere Spinaceto – e dopo un lungo sopralluogo, si avvicinavano per scambiarsi documenti militari riservati, in cambio di soldi: cinquemila euro in contanti, così la spia russa comprava i segreti militari dal capitano della Marina militare italiana, prima che il blitz dei Ros portasse entrambi, nella serata di ieri, all’arresto. Un prezzo esiguo, che non vale la carriera, l’infamia e tantomeno il carcere. Cinquemila euro sono niente per uno come Walter Biot – questo il nome del capitano di fregata arrestato – con famiglia a carico e assenza di motivazioni ideologiche dietro, che sembra non avesse neanche accesso a documenti estremamente delicati. L’impressione è infatti che non fosse esattamente una persona con in mano dossier veramente rilevanti: ancora di più se si considera che lasciasse tutto in una chiavetta Usb, scambiata in un parcheggio di un supermercato dopo un pagamento in contanti dentro scatolette di medicinali. Tra l’altro, i servizi segreti lo pedinavano da un po’, dunque se avesse avuto documenti importanti, non ci sarebbero stati molti incontri.

La guerra allo spionaggio “mediatica”

La dinamica impone delle riflessioni. Intanto perché l’Italia, dai tempi dello scontro tra Nato e Unione sovietica, è un territorio di confine. La prossimità geografica – che lascia spazio alle forze sovietiche di muoversi con assoluta libertà – diventa per forza di cose anche prossimità politica, culturale e di intelligence. “Non è il primo caso clamoroso che si verifica in Italia in tempi recenti”, ha detto Germani a Linkiesta, ricordando gli altri due casi che coinvolsero, nel 2016, un uomo di 57 anni, arrestato in un bar di Trastevere per aver venduto documenti top secret a un agente dell’Svr russo, per 10.000 euro a documento; e poi quello del 2019, all’aeroporto di Napoli, quando fu arrestato un dirigente di una società russa produttrice di motori di aviazione civile e militare. Su di lui un mandato di cattura internazionale sollecitato dall’Fbi, secondi cui si era impadronito di segreti militari tramite un collaboratore italiano. “Ma bisogna distinguere tra l’Svr, servizio civile più attento a queste cose, dal Gru, che è il servizio segreto militare, e che in qualche modo è più sfacciato. Vuole ottenere risultati subito – ha aggiunto Germani – E’ del Gru che il russo ha preso la pen drive di Biot […] Evidentemente non si erano accorti di essere sotto sorveglianza”. Ma negli ultimi anni si nota come la guerra di spionaggio e controspionaggio sia diventata estremamente mediatica. In questo caso, infatti, di ‘segreto’ non c’è stato nulla: in poche ore i media sapevano tutto sull’infedele che aveva venduto i documenti ai russi. Come se ci fosse una regola non scritta per cui alcuni casi vanno portati alla luce del sole.

Walter Biot – secondo le indiscrezioni delle agenzie di stampa – ha 56 anni, ed era un sottoufficiale della Marina militare diventato ufficiale in seguito a un concorso interno, una “guida caccia”, incaricato di indirizzare gli aerei da caccia verso determinati obiettivi. E’ un uomo che si è venduto per “problemi familiari”: una figlia disabile, una moglie senza lavoro a seguito della pandemia, quattro figli da mantenere e un stipendio esile. Lo ha ammesso anche la moglie al Corriere della Sera: “Mio marito non voleva fottere il Paese, scusate la parola forte. E non l’ha fatto neanche questa volta, ve l’assicuro, ai russi ha dato il minimo che poteva dare. Niente di così compromettente. Perché non è un stupido, un irresponsbaile – ha precisato – Solo che era disperato. Disperato per il futuro nostro e dei figli. […] Waltera era veramente in crisi da tempo, aveva paura di non riuscire più a fronteggiare le tante spese che abbiamo. L’economia di casa. A causa del Covid ci siamo impoveriti. […] Noi viviamo per i figli, abbiamo fatto sempre tanti sacrifici per loro. Niente vizi, niente lussi, attenzione, solo la vita quotidiana che però a lungo andare fa sentire il suo peso”. Probabilmente anche il Gru, l’intelligence di Mosca, lo sapeva, e ha saputo colpire nel punto debole, diventato immediatamente un punto di forza per lui.

Intanto l’ambasciatore russo a Roma è stato convocato alla Farnesina: espulsi l’uomo delle consegne e il suo diretto superiore. “Rammarico per l’espulsione da Roma di due dipendenti dell’ambasciata” ha dichiarato Mosca, anticipando che chiarirà “le circostanze di questa decisione”; mentre il Cremlino, Dmitri Peskov, spera di non intaccare i “buoni rapporti” con l’Italia. Ma due cose si possono constatare. L’efficacia del sistema investigativo italiano: il controspionaggio ha colpito nel segno. E poi che “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”, anche in epoca di “globale amicizia”.

Francesca Perrotta