La verità, il mistero e l’assurdità sulla morte di Mario Paciolla: chi era il collaboratore Onu

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Di Redazione Metropolitan

È avvolta dal mistero la morte di Mario Paciolla, napoletano di 33 anni, collaboratore Onu, il cui cadavere è stato purtroppo rinvenuto in Colombia, dove il giovane stava partecipando ad un progetto come volontario. Stando a quanto si apprende dalla stampa locale, il cadavere di Mario Paciolla è stato rinvenuto in un’abitazione di San Vicente del Caguan, nel quartiere di Villa Ferro: ancora sconosciute le cause del decesso. Anche la Missione delle Nazioni Unite in Colombia, con la quale il 33enne collaborava, sta conducendo una indagine interna e segue da vicino le indagini delle autorità.

Classe 1987, laureato in Scienze Politiche e originario del Rione Alto, quartiere collinare di Napoli, Mario Paciolla era un veterano dei progetti all’estero, dal momento che il suo lavoro lo aveva portato in Giordania, in India e in Argentina. Da lungo tempo in Colombia, il 33enne ci era ritornato dopo le vacanze natalizie, lo scorso dicembre, per ultimare il progetto sul quale stava lavorando: era rimasto nel Paese sudamericano nonostante l’avvento della pandemia di Coronavirus e le restrizioni che ha comportato la diffusione del contagio in Sudamerica. In seguito alla morte di Mario, chi lo conosceva ha fatto partire una petizione su Change.org affinché si faccia luce su quanto gli è accaduto. “Da giorni il dottor Paciolla si sentiva con la famiglia confessando la sua apprensione per strani comportamenti di gente a lui nota che lo facevano sentire minacciato” si legge nel testo della petizione.

Dopo oltre un anno la vicenda è ancora avvolta da un grande mistero. La polizia colombiana e l’Onu hanno parlato di un suicidio, ma questa prima versione non ha mai convinto, soprattutto i genitori del 33enne napoletano, che si dicono certi dell’uccisione del figlio, che conosceva bene quel territorio, come dimostrano gli articoli scritti per alcune riviste di geopolitica, sotto lo pseudonimo di Astolfo Bergman. 

“La procura mantiene il più stretto riserbo sulle indagini, quindi non sappiamo nulla su quanto è accaduto“, dice la mamma, Anna Motta, che con il marito Giuseppe continua a chiedere verità e giustizia, anche in occasione dell’iniziativa organizzata per il primo anniversario dalla morte. Anche i legali della famiglia preferiscono il silenzio, in attesa che si faccia chiarezza sulla vicenda. Nel frattempo, in questi mesi, le istituzioni, diverse associazioni e molti esponenti della cultura e dello spettacolo hanno mostrato concretamente la propria vicinanza alla famiglia.

Tra questi c’è anche Roberto Saviano, che in un messaggio inviato ai genitori definisce Mario Paciolla “un creatore di futuro” e chiede che Anna e Giuseppe non vengano lasciati soli. “Capire ciò che è accaduto a Mario – scrive Saviano – ci aiuta a capire ciò che è accaduto e accade qui da noi, nei territori in cui l’unico welfare è quello criminale”. 

Le tante testimonianze di affetto hanno commosso papà Giuseppe, che si dice determinato a lottare affinché si faccia luce sull’accaduto. “La gioia di Mario e il suo impegno sopravvivono nella vicinanza e nella testimonianza di tante persone – sottolinea – molte di queste quali non le conoscevamo, ce le siamo ritrovate accanto, come se fossero una marea di figli”. A fine maggio, intanto, nel corso dell’audizione del Comitato per i diritti umani nel mondo, che affrontava la situazione della Colombia, è stato chiesto di depositare un’interrogazione parlamentare per spingere il Governo a prendere posizione sul caso.

Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha sollecitato la collaborazione delle autorità colombiane e ha assicurato l’attenzione dell’Esecutivo sulla vicenda. Così come Roberto Fico, che ha ribadito l’impegno dello Stato. “Non ci fermeremo, arriveremo fin dove le cose non saranno scoperte”, aveva detto il presidente della Camera in occasione di un evento organizzato a Napoli da un gruppo di cittadini a fine luglio dello scorso anno. 

Stasera, martedì 30 novembre, a “Le Iene, in prima serata su Italia1, continua il reportage di Gaston Zama, su Mario Paciolla, il giovane cooperante napoletano trovato morto il 15 luglio dello scorso anno nel suo appartamento a San Vicente del Caguán, un piccolo paesino dell’Amazzonia, dove partecipava a una missione di Pace per conto dell’Onu. Girata tra la Colombia e Napoli, l’inchiesta racconta la vita del ragazzo, attraverso le testimonianze e i ricordi di chi l’ha conosciuto. Nel precedente servizio andato in onda, la famiglia, gli amici e le persone con cui il 33enne era entrato in contatto in Colombia hanno ricostruito l’immagine del ragazzo e i suoi ultimi giorni di vita, descrivendo quelle che loro ritengono delle anomalie, con l’amarezza di chi è ancora in cerca di una verità plausibile e con la certezza che Mario non si sarebbe mai tolto la vita.

Stasera si darà spazio alle presunte criticità che atterrebbero all’indagine dell’Onu, nella fase immediatamente successiva al ritrovamento del cadavere di Mario. “Quando l’hanno trovato, i primi due ad arrivare sono stati i funzionari dell’Onu”, dice Stefan Kroener, reporter colombiano che si è occupato del caso Paciolla. Il racconto – che ricostruisce la giornata in cui il nostro connazionale ha perso la vita – si sviluppa attraverso importanti testimonianze raccolte dall’autore del reportage e con gli interventi di alcuni giornalisti, italiani ed esteri, che in questi 16 mesi hanno documentato la vicenda. Tra loro, Valerio Cataldi, giornalista Rai, che con Gaston Zama ripercorre la scena che gli inquirenti si sono trovati davanti.

Quel giorno furono scattate delle foto di tutto ciò che c’era nell’appartamento, e chi ha potuto vederle, tra cui Cataldi, le descrive come degne di ulteriori approfondimenti. Sembrerebbero tante, infatti, le apparenti incongruenze che, oggi più che mai, meriterebbero delle risposte. E, ad anticiparle il contenuto della perizia medico legale italiana, con alcuni elementi in netto contrasto con quella effettuata in Colombia.