Le donne e il diritto di voto: senza rossetto nella cabina elettorale

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Di Federica De Candia

Una conquista. Il diritto di voto alle donne, o suffragio femminile, ha data di 1 febbraio 1945. Una vittoria recente della storia, da segnare ‘in rosso’ sul calendario. Lo stesso ‘proibito colore’, vietato in quella prima volta nella cabina elettorale.

In realtà, nel decreto legislativo n. 23 del 1 febbraio 1945, che conferisce il diritto di voto alle italiane con più di 21 anni, così si leggeva: tranne le prostitute schedate che esercitano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”. La mattina del 2 giugno 1946 (le donne italiane votano per la prima volta in occasione del referendum istituzionale monarchia-repubblica) il Corriere della Sera titola: “Senza rossetto nella cabina elettorale”. Questa fu la raccomandazione apparsa sul giornale, con cui le donne venivano invitate a presentarsi presso il seggio senza rossetto alle labbra. La motivazione, sotto l’ineguaglianza, era concreta. “Siccome la scheda doveva essere incollata e non avere nessun segno di riconoscimento, le donne nel bagnare con le labbra il lembo da incollare, potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di traccia, e in questo caso rendere nullo il loro voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, in borsetta, per ravvivare le labbra fuori dal seggio”.

La posizione della chiesa

Anche il Vaticano si dimostra favorevole. Il 21 ottobre 1945 papa Pio XII spiega: “Ogni donna, dunque, senza eccezione, ha, intendete bene, il dovere, lo stretto dovere di coscienza, di non rimanere assente, di entrare in azione per contenere le correnti che minacciano il focolare, per combattere le dottrine che ne scalzano le fondamenta, per preparare, organizzare e compiere la sua restaurazione“. Tutto questo avveniva mentre l’Europa era ancora impegnata nella Seconda Guerra Mondiale, e il Nord Italia occupato dai tedeschi. E durante una riunione del Consiglio dei ministri, si discute del tema del voto femminile su proposta di Palmiro Togliatti (Partito Comunista) e Alcide De Gasperi (Democrazia Cristiana). Non tutti sono favorevoli. “Mentre si muore di fame ci si preoccupa del voto alle donne“, titolava Il Resto del Carlino il 31 gennaio 1945 nell’Italia occupata.

E Benito Mussolini in un’intervista a Le Journal nel novembre 1922 dichiarava: “C’è chi dice che intendo limitare il diritto di voto. No! Ogni cittadino manterrà il suo diritto di voto per il parlamento di Roma […] Consentitemi anche di ammettere che non credo estendere il diritto di voto alle donne. Sarebbe inutile. Il mio sangue si oppone a tutti i tipi di femminismo quando si tratta di donne che partecipano alle questioni statali. Certo, una donna non dovrebbe essere una schiava, ma se le do il diritto di voto, sarei ridicolo. Nel nostro stato, non dovrebbe essere considerata”. 

Il diritto in croce

Una delle figure più attive nel rivendicare il voto alle donne è stata la pedagogista Maria Montessori che nel 1906 scrive: “Donne tutte sorgete! Il vostro primo dovere in questo momento sociale è di chiedere il voto politico”. E qualcuna ricordava così l’emozione di quel giorno: “credo che le mani mi tremassero”… “nella cabina di votazione avevo il cuore in gola”… “avevo paura di sbagliarmi fra il segno della repubblica e quello della monarchia”… “forse solo le donne possono capirmi: e gli analfabeti. Era un giorno bellissimo….”.

Federica De Candia. Seguici su MMI e Metropolitan Cinema