“Le mani sulla città”: dove il denaro è come i cavalli

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Di Redazione Metropolitan

Sono passati ben 59 anni da quando Francesco Rosi decise di portare la denuncia de “Le mani sulla città” sul grande schermo, e con esso un’Italia in cui il boom economico aveva aperto autostrade infinite per la speculazione a tutto tondo.

Un processo criminale che trovò nell’urbanizzazione selvaggia un pozzo senza fondo di affari e malaffare. 59 anni in cui l’Italia, da buon Gattopardo, tutto ha cambiato perché nulla cambiasse davvero.

“Le mani sulla città”: in politica l’unico peccato è venire sconfitti

Edoardo Nottola (Rod Steiger) è uno spietato palazzinaro con diversi santi in paradiso e le mani in pasta nell’amministrazione cittadina. Alla vigilia delle elezioni comunali della città di Napoli, il tragico crollo di uno dei suoi palazzi punta inquietanti luci sulla qualità del suo operato. E mentre la complice sovrastruttura politica della città si mette in moto per nascondere la polvere sotto al tappeto, un consigliere comunale si batte perché la verità venga a galla.

Costruire, costruire, costruire ovunque. Francesco Rosi mette in scena una franca e spietata denuncia della efficacissima struttura piramidale su cui, nell’Italia della metà dei ’60, la speculazione edilizia ha costruito la sua dorata nomea. Su pile di cadaveri, tragici incidenti, spietato e indecente calcolo. E’  spudoratamente schierato, Francesco Rosi. Ma “Le mani sulla città” è tutto meno che un didascalico e moraleggiante dito puntato su uno dei tanti fisiologici scandali italiani. E’ cinema vero e coraggioso. Parte dallo studio e l’analisi di centinaia verbali dei consigli comunali della sua Napoli, Rosi. E su di essi plasma con stupefacente perizia un dramma politico e sociale capace di fondere la drammatizzazione cinematografica delle denuncia politica a un respiro quasi documentaristico.

Consenso e complicità

Una costruzione dei protagonisti e delle loro azioni tra finzione e realtà quotidiana adagiati su un ventre molle popolare. “I personaggi e i fatti sono immaginari, ma autentica è la realtà che li produce”, specifica la didascalia introduttiva. Una massa a-personale da muovere affinché la prossima speculazione privata possa garantire quel “cinquemila percento di profitto” tanto agognato. Al popolo, non rimangono che momenti di tragica coralità semi-documentaristica. Che si vittima o spettatrice del tragico crollo di Vico S.Andrea che dà la stura alla vicenda o che si assiepi alla coorte del sindaco per ricevere caritatevoli banconote. “Avete visto come si fa la democrazia” spiega con fare saccente il sindaco della città (Vincenzo Metafora) mentre distribuisce contante alle disperate questuanti. Sulla massa impotente e inconsapevole, svetta la figura del deus ex machina di Nottola.

Figura centrale del vero sistema di potere economico e politico, predatore scaltro e ben conscio di quale sia la vera struttura portante della costruzione sociale e politica. Il ricatto che i suoi compagni di partito gli rivolgono dopo lo scandalo che l’ha travolto è un banale intralcio nel grande gioco della politica. Rappresenterà invece il suo definitivo trampolino di lancio. Con buona pace degli ex compagni di partito costretti ad abbassare il capo davanti al machiavellismo di Nottola, ben consapevole di quanto sia facile tapparsi il naso e la coscienza davanti all’ennesimo piatto ricco. “I soldi sono come i cavalli, devi dargli da mangiare ogni giorno” dice con spietata chiarezza. Alla sceneggiatura Rosi si avvalse di Raffaele La Capria, scrittore squisitamente napoletano nel senso meno retorico del termine. Lucidamente crudele quanto matematico, “le mani sulla città” vinse il Leone d’Oro a Venezia nel 1963.

Andrea Avvenengo Dalberto

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