Le Mans ’66 – La Grande Sfida | Recensione

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Di Redazione Metropolitan

“Le Mans ‘66” si impone nei cinema con una scarica d’adrenalina. Ecco le nostre impressioni sull’ultimo film di James Mangold.

Dopo la vittoria della 24 Ore di Le Mans del 1959, Carroll Shelby (Matt Damon) è costretto al ritiro per problemi di salute, pertanto decide di cominciare una proficua carriera come costruttore di automobili. Sono gli anni Sessanta e una crisi economica ha investito la Ford, la quale, dopo il vano tentativo di acquistare la Ferrari per dedicarsi al mondo delle corse, assume Shelby e il suo amico Ken Miles (un grandioso Christian Bale) come progettisti della Ford GT, automobile con la quale sperano di interrompere il monologo della Ferrari sullo storico tracciato francese. La GT, tuttavia, si rivelerà un’auto difficile da manovrare per tutti fuorché per Miles, inviso a Henry Ford II (Tracy Letts) e a Leo Beebe (vicepresidente della Ford, interpretato da Josh Lucas) per via del suo carattere bizzoso e poco incline ai compromessi.

“Le Mans ’66”
Photo Credit: WEB

Come si può bene desumere dalla trama, “Le Mans ‘66” è un tipico film americano. È scritto seguendo il già ampiamente noto schema delle “dodici tappe dell’eroe”, codificate nel celebre saggio di Christopher Vogler. La storia, salvo lo spiazzante finale (tranquilli, non faremo spoiler), segue la stessa strada già battuta da diversi autori, immergendo questa struttura fortemente archetipica all’interno del mondo delle corse automobilistiche.

Ciononostante, tale scelta narrativa non deve rappresentare necessariamente un male, anzi. Il racconto, per come è stato esposto, non brilla certo di originalità, ma ha in sé una bontà e un’innocenza che difficilmente si vedeva nei cinema da anni. È chiaramente una storia scritta da autori che amano il mondo delle corse – escluso proprio Mangold che si è dichiarato affascinato dalla storia, più che dall’automobilismo –. La sua struttura fortemente lineare e semplice è chiaramente voluta, e nasce con lo scopo di appassionare.

Le Mans '66 | Recensione
“Le Mans ’66”
Photo Credit: WEB

Tutti i personaggi sono scritti seguendo lo schema degli archetipi aristotelici, con Shelby che interpreta il ruolo del “mentore”, Leo Beebe che si alterna nel ruolo di “guardiano della soglia” e di “antagonista”, e persino Enzo Ferrari, dipinto inizialmente come un individuo burbero e presuntuoso – il perfetto nemico dell’eroe classico –, si redime nel finale, ritrovando l’amore per le corse nonostante la Ford stia battagliando sanguinosamente contro le sue rosse.

Le Mans '66 | Recensione
“Le Mans ’66”
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L’unico vero problema dell’intero lungometraggio è il passare del tempo. Se il prologo mostrante la vittoria e il ritiro di Shelby venga fatto passare come avvenuto «eoni» addietro – quattro anni prima degli eventi principali –, il biennio che intercorre tra le trattative Ford-Ferrari e la 24 Ore di Le Mans del 1966, sembra svolgersi nell’arco di pochi mesi, nonostante a metà del film sia raccontata anche la medesima gara del 1965. È inevitabile che qualsiasi spettatore sappia quanto tempo occorra per progettare un’auto, ma il passare delle stagioni sembra essere inesistente, e il tempo appare come condensato.

Si tratta di una minuzia di poco conto a fronte di quello che, a conti fatti, è un film parecchio godibile. Di certo non passerà alla storia come uno dei più grandi capolavori sul mondo dell’automobilismo. Ad esempio, ripensando a “Rush”, lungometraggio del 2013 ambientato anch’esso durante il periodo romantico dell’automobilismo, “Le Mans ‘66” risulta un pelino inferiore, latitando nella varietà drammaturgica che era stata raccontata durante lo splendido duello tra Lauda e Hunt. Ciononostante, Mangold ne esce comunque vincente, con un film sportivo per antonomasia, scritto come li si scriveva un tempo.

Le Mans '66 | Recensione
“Le Mans ’66”
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Spendiamo due parole per l’ottima recitazione. Sugli scudi Christian Bale. La sua performance è grandiosa, soprattutto dal punto di vista fisico; il gallese ha perso parecchio peso per replicare l’asciuttezza di Miles, e ha fatto della corporalità la propria voce, in questo film. Matt Damon, a sua volta, si conferma un istrione, interpretando una parte che lo vede afflitto da un dissidio interiore: più disponibile di Ken a condiscendere alle richieste di marketing dei capoccia della Ford, ma, al contempo, sboccato e duro quando si palesa la necessità di esserlo. Il suo viaggio sarà proprio questo: far prevalere la sua personalità più vera e diretta a scapito di quella più «da copertina» che vorrebbero a Detroit.

Infine, oltre alla stupenda scenografia e fotografia, un plauso va fatto per l’ottima colonna sonora, capace di saper combinare composizioni originali a brani ripresi dagli anni Sessanta che ci fanno respirare quell’atmosfera come se vi fossimo stati catapultati all’interno.

Le Mans '66 | Recensione
“Le Mans ’66”
Photo Credit: WEB

“Le Mans ‘66” è un film da vedere. Sia che siate appassionati di automobilismo, sia che non lo siate. È un film scritto da amanti del genere per spettatori di ogni tipo. Un film onesto, che non ha pretese di essere «impegnativo», che sa cosa vuole raccontare e che lo racconta nel più classico e semplice dei modi.

MANUEL DI MAGGIO

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