”Le rane”, Aristofane: il potere salvifico della poesia

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Di Stella Grillo

Le rane, Aristofane - Photo Credits: wikipedia
Le rane, Aristofane – Photo Credits: wikipedia

Le rane: nel nuovo appuntamento della rubrica ClassicaMente una commedia di Aristofane. A far da sfondo un tema politico in cui, successivamente, prevale quello letterario: il giudizio sulla tragedia attica e la parodia sul viaggio negli Inferi.

Le rane, un viaggio negli inferi e nella tragedia

Fu una delle ultime opere di Aristofane: la rappresentazione de Le rane, ebbe luogo ad Atene in occasione delle Lenee nel 405 a.C. Vinse e, cosa eccezionale per quei tempi, ottenne una seconda possibilità di essere rappresentata, probabilmente, alle Grandi Dionisie del medesimo anno. Aristofane immagina che Dioniso, dio della tragedia, rimasto addolorato dalla scomparsa del suo autore preferito, Euripide, si rechi nell’Ade per riportarlo in vita. Scende, così, nell’Averno insieme al suo servo, Xantia. Riportare Euripide in vita, è il solo modo per salvare la tragedia ormai in declino. Giunge presso Eracle, interrogandolo sui metodi da lui utilizzati per riportare sulla terra il suo cane, Cerbero; l’eroe risponde, dopo averlo canzonato, che la strada da intraprendere è attraversare una palude, l’Acheronte. Arriva presso la palude Acheronte, tuttavia, Xantia non avendo partecipato alla battaglia presso le Arginuse, è costretto a fare il percorso a piedi. Durante la traversata, Dioniso e Caronte, incontrano le rane che, in onore del dio, intonano un canto pur non avendolo riconosciuto. Infastidito dal loro gracidare, imita il loro verso, zittendole.

Ritrovamento di Euripide: tragedia, politica e comicità

Dionisio e Xantia si rivedono alle soglie dell’Ade dove incontrano un gruppo di anime che intonano canti in onore di Iacco. Successivamente, Dionisio è scambiato per Eracle da Eaco, per via del suo travestimento precedente; quest’ultimo lo insulta e lo minaccia, ancora irato per avergli sottratto Cerbero. Spaventato, il dio scambia i suoi abiti con Xantia. Tuttavia, anche questa parentesi comica de Le rane, è chiarita. Finalmente trovano Euripide: il drammaturgo è nel bel mezzo di una diatriba con Eschilo. I due discorrono su chi sia il miglior tragediografo di tutti i tempi, ritenendosi, entrambi, eccelsi. Inizia una gara che vede Dioniso come giudice: i due autori, citano a turno i propri versi sminuendo quelli dell’avversario. Entra in scena una bilancia: la citazione ritenuta migliore, farà pendere lo strumento in proprio favore.

Aristofane, copertina opera - Photo Credits: ibs.it
Aristofane, copertina opera – Photo Credits: ibs.it

Vince Eschilo mentre Dionisio, inizialmente propendente verso Euripide, si ritrova confuso: non sa più a chi concedere tale onore. Decide, così, che riterrà migliore solo chi sarà capace di dare un consiglio utile sulla salvezza di Atene, ormai al declino. Euripide dà una risposta lacunosa, consigliando di fare tutto il contrario delle azioni svolte fino a quel momento; solo così, gli ateniesi, potranno cavarsela. Eschilo dà invece un consiglio pratico: le uniche risorse da prendere in considerazione sono le navi. Dioniso decide dunque di riportare in vita Eschilo, affidando a Plutone il compito di riservare il trono di miglior tragediografo a Sofocle, raccomandandosi di non cederlo mai ad Euripide.

Le rane, simbolo del valore e del potere della poesia

Le rane è una delle opere più celebrate di Aristofane, nata in uno dei momenti più drammatici della storia greca: la Guerra del Peloponneso. L’intento dell’autore nella stesura dell’opera, è quello di mirare ad una sua funzione patriottica ed educativa. Tuttavia, non prende in considerazione tutti gli avvenimenti successi durante la battaglia: si limita alla situazione politica dopo la vittoria alle Arginuse. Se la prima parte del dittico in cui è divisa la commedia è al limite del grottesco, la seconda si presenta con un ritmo statico: interamente cadenzato dall’agone fra Eschilo ed Euripide su chi sia il migliore poeta tragico. Si ricordi che, Aristofane, possedeva uno spirito conservatore, come già si era ampiamente attestato in un’altra sua opera, Le nuvole. L’autore ne Le rane, mescola temi comici a letteratura e politica, considerando Eschilo l’esponente di una cultura passata ormai perduta, simbolo dei valori di un tempo antico. Euripide, invece, ricopre il ruolo di un presente degradato in cui si compromettono i valori sacri della tradizione, proprio come le pseudo-filosofie decantate ne Le nuvole: solo che al suo del poeta tragico, la critica si rivolge ad un Socrate rappresentato in modo grottesco.

Le rane, perché questo titolo?

Per Aristofane, ne consegue, un’attrazione-repulsione nei confronti di Euripide, che tuttavia ritiene vagheggiatore, corruttore esistenziale per i suoi valori etico-politici; è Eschilo il vero ultimo interprete del retaggio tradizionale che ha fatto grande la storia della tragedia.

«ESCHILO: Il poeta deve nascondere il male, non rappresentarlo e insegnarlo. Come c’è il maestro per i ragazzi, così c’è il poeta per gli adulti. È del bene che bisogna parlare.»

Ma perché nel titolo appaiono Le rane? Sicuramente un titolo atipico, considerando che il nome dell’opera riprende un singolo episodio del testo. Le spiegazioni, nel tempo, sono state innumerevoli ma, considerando che l’incontro di Dioniso con le rane si caratterizza dal canto di queste ultime che, ha come oggetto il loro amore per la poesia, è probabile che Aristofane si sia cristallizzato su questo singolo episodio per lanciare un suo messaggio, in primis, e racchiudere già dal titolo dell’opera l’idea di testo educativo che voleva predisporre. Le rane, quindi, simboleggiano il valore ed il potere salvifico della poesia: proprio perché su questo argomento è incentrato il loro canto nel breve scambio con il dio. Per Aristofane, la poesia si connota di un potere salvifico: tanto da portare la salvezza delle antiche tradizioni e, di conseguenza, dell’intera città di Atene.

Per saperne di più su Aristofane e sulla rubrica ClassicaMente:

Stella Grillo