Legge Basaglia o legge 180: è la prima ed unica legge quadro ad imporre la chiusura dei manicomi, favorendo la territorializzazione dei Servizi di Cura circa il disagio psichico. Una legge che diede dignità al malato: tuttavia le denunce sociali circa il trattamento dei malati sono, spesso, trattate anche in letteratura. Un viaggio che percorre le critiche ai sistemi sanitari in letteratura corredato da una breve introduzione sull’evoluzione della psichiatria.

Legge Basaglia, cos’è? Breve introduzione sull’evoluzione della psichiatria

La condizione degli ospedali psichiatrici e dei malati che popolano queste strutture diventa più malleabile negli ultimi anni. Tuttavia, per secoli, testimonianze letterarie e di cronaca dimostrarono come il malato fosse considerato un reietto. Il disturbo mentale ha sempre intimorito provocando emarginazione ed isolamento nei riguardi di chi ne era affetto. Un tempo, non era inusuale che ad uno schizofrenico o a chiunque presentasse patologie mentali, venisse applicata l’etichetta di ”posseduto”. E’ grazie a Freud, alla fine dell’800, che si dà una base scientifica alla patologia mentale. Freud criticava l’idea di incurabilità del paziente: attraverso le nuove teorie sull’inconscio e gli studi condotti insieme a Charcot Breuer, elabora il modello terapeutico in vigore per il trattamento delle malattie mentali, sino al XX secolo.

Il malato visto come reietto ed incremento dei casi di disturbo mentale

Un approccio terapeutico utilizzato all’interno dei manicomi fu l’elettroshock. Un malato mentale non era ritenuto socialmente condivisibile: la soluzione migliore era nasconderlo in strutture apposite.Il progredire storico degli eventi favorì un incremento dei casi di disturbo mentale. Le guerre imminenti che si susseguirono nei primi anni del secolo scorso, contribuirono all’aumento di soggetti affetti da disturbi.

Legge Basaglia, in foto lo psichiatra Franco Basaglia – Photo Credits: ausl.pc.it

Attraverso numerose osservazioni su ex soldati partecipanti alle guerre, si notò come fenomeni di violenza collettiva, come i conflitti, inducessero varie forme di patologie ai soggetti: disturbi psicosomatici, disturbi post – traumatici da stress etc.; per via del crescente numero dei pazienti affetti da patologie psichiatriche il governo fu, in un certo modo, ”costretto” ad affrontare il tema della salute mentale. Si iniziò a progettare come il malato mentale potesse essere reinserito in comunità.

Nascita della psichiatria comunitaria

Nasce nell’immediato dopoguerra quella che poi sarà nota come Psichiatria comunitaria. Questo nuovo approccio alla patologia si sviluppa in un primo momento nei paesi anglosassoni: si pone di stilare una dottrina che avvicini alla malattia mentale in modo innovativo. In Italia però, la situazione resta ancora ambigua e precaria. Le condizioni dei soggetti psichiatrici emergono alla fine degli anni ’60: sulla scia di eventi rivoluzionari come i moti del ’68, si iniziarono a denunciare i soprusi subiti da chi era internato in strutture manicomiali. Supportati da fatti realmente accaduti, da orrori che dilaniavano la dignità del malato chiuso in manicomio, si lottò affinché queste strutture potessero chiudere definitivamente.

L’antipsichiatria e la promulgazione della Legge Basaglia

Nasce, quindi, L’antipischiatria il movimento esponente ed in prima linea per la chiusura dei manicomi su territorio italiano. Famoso precursore, ideatore e fondatore della nuova concezione moderna circa la psichiatria fu Franco Basaglia, riformatore e promotore dei nuovi ospedali psichiatrici in Italia e delle trasformazioni sul territorio. Basaglia disse in un’intervista:

«Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione.»

Ispirò la proposta di legge che prevedeva la chiusura delle strutture ospedaliere psichiatriche per favorire la cura dei malati negli ambulatori territoriali. La legge del 13 maggio 1978, n. 180 comunemente nota come Legge Basaglia; il suo assunto è quello di favorire la territorializzazione dei Servizi di Cura circa il disagio psichico (CSM, SERT, CONSULTORI).

Legge Basaglia, la condizione del malato mentale in letteratura

Il tema della follia imperversa in letteratura più di quanto si creda: esistono velate allusioni alla pazzia già in testi classici quali L’Odissea, passando per L’orlando Furioso di Ariosto; Torquato Tasso stesso fu internato in manicomio, e per citare autori più recenti, un destino comune l’ebbe Alda Merini. Edgar Allan Poe portatore di tendenze depressive, Virginia Woolf affetta da bipolarismo, Charles Baudelaire praticante di tentavi di suicidio ripetuti. Queste menti geniali trasferirono questa ”saggezza danzante”, nelle proprie opere. Attraverso gli scritti e le interviste di Alda Merini che condusse parte della sua vita in manicomio, si hanno testimonianze crude sulla condizione dei malati e degli ospedali psichiatrici di metà ‘900. Un esponente, nonché medico, della denuncia sociale circa il modo di rapportarsi ai pazienti fu Anton Čechov.

ll reparto numero 6 di Čechov: manifesto letterario della condizione del malato psichiatrico

Čechov scrive una serie di racconti datati 1892, e fra questi ne spicca uno in particolare, irriverente, filosofeggiante ed attuale: Il reparto numero 6.Questo racconto breve non è altro che una denuncia aspra e pungente. Una critica sociale al sistema sanitario russo del tempo, ed alle condizioni in cui versavano i pazienti psichiatrici. E’ un inno a favore del progresso scientifico, medico ed umano.

Manicomio, dettaglio stanza - Photo Credits: web
Manicomio, dettaglio stanza – Photo Credits: web

La minuziosità di Čechov nel descrivere ogni dettaglio come le stanze fatiscenti, le vesti sfatte e lise, gli odori nauseabondi è necessario alla narrazione: completa quel quadro sensoriale a cui si sottopone il lettore quando legge, aiutando il medesimo a capire realmente le condizioni nelle quali i pazienti dell’epoca – e di epoche più vicine a noi! – erano costretti a vertere.

Una trama che descrive la privazione della dignità morale dei pazienti internati

Protagonista è il primario dell’ospedale, uomo onesto e colto ma ignavo e totalmente incapace di esprimere le proprie idee. Il suo studio all’interno della struttura è una bolla ovattata. Non si interessa del degrado in cui vige. Il Reparto numero 6, specialmente, è abbandonato all’incuria più totale. Nel padiglione sono internati cinque pazienti psichiatrici reclusi in condizioni pessime: un ipocondriaco paralizzato, un ebreo che nel corso del racconto, tenterà la fuga per le strade gelate dall’inverno russo, il trentatreenne Ivan Dmitric Gromov, filosofo colto di nobili origini affetto da manie di persecuzione, il contadino sudicio che ha perso ogni capacità cognitiva ed un ex impiegato delle poste. I pazienti sono gestiti da Nikita ex soldato in congedo che utilizza come metodo pedagogico di gestione quello delle percosse; a suon di pugni, schiaffi e violenza fisica priva di ogni dignità morale ed umana i pazienti internati nella corsia numero 6.

Stoicismo, realtà e critica al sistema sanitario

ll primario è convinto che non si possa fare nulla per cambiare le sorti dei malati: devono accettare stoicamente la loro condizione. Questa concezione è sostenuta fino a quando non si imbatte nel paziente Ivan Dmitric Gromov: l’incontro cambierà totalmente la sua vita. Nel corso del racconto si può assistere a delle diatribe attuali ed avvincenti fra il dottore ed il paziente. La figura del medico non è altro che la rappresentazione di quello che per Čechov è ”l’uomo superfluo”; uomo frustrato avvinto e recluso in un’incomunicabilità esistenziale che avanza claudicante in un mondo grigio ed opaco.

Legge Basaglia e denuncia ai sistemi sanitari: il reparto numero 6 di Čechov - Photo Credits: ebay.it
Legge Basaglia e denuncia ai sistemi sanitari: il reparto numero 6 di Čechov – Photo Credits: ebay.it

Čechov, attraverso il paziente, catapulta il dottore alla realtà. Il suo cambiamento interesserà la sua concezione di vita ribaltando la propria condizione. Ora è lo stesso primario ad essere ritenuto pazzo e recluso: le sue descrizioni sottolineano la condizione di miseria materiale ed umana in cui i pazienti del reparto numero 6 – ma di tutto il sistema sanitario russo! – erano costretti a vivere. Ora il vecchio medico di provincia riusciva a capire. L’emblema è nella sua esclamazione ”Ecco la realtà”. La morte è l’unica speranza di liberarsi da un inferno simile proprio come diceva il suo paziente, Gromov.

Denuncia sociale, conclusioni ed auspici

Risulta evidente come questo racconto sia un’intensa e cruda analisi di quanto sia sottile la linea che divide i sani di mente dai pazienti psichiatrici, e di come possano essere complessi i valori e gli standard che la società attribuisce ad una persona che considera folle; è una denuncia al sistema sanitario, sistema che dovrebbe tutelare e proteggere prima la dignità umana e poi l’uomo. E’ una critica alle istituzioni ma, se vogliamo, alla Russia stessa del tempo, personificata con quel reparto numero 6 che l’autore descrive. Si ricordi che la vicenda è incastonata in un periodo storico sotto l’egemonia dello zarismo, un’epoca storica dolente per la Russia; la corte di Palazzo d’inverno era totalmente indifferente alle condizioni di povertà ed arretratezza dei cittadini. Critica sociale, quindi, quasi presagio di quello che poi anni dopo sarà la Legge Basaglia per l’Italia; anche qui un medico che denuncia, anche qui un’umanità verso quella piccola gente pensata da nessuno; ma anche un’allegoria sulla vita e sulla morte. Oggi le cose sono cambiate, la psichiatria, i reparti, ma sono cambiati gli uomini ed i pregiudizi?