L’estetica ”Vita Lenta” propone un modello di vita contraddittorio e non riscopre nulla che l’otium latino non abbia già affrontato

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Di Stella Grillo

Lo slow living è una pratica tornata in auge da poco tempo grazie anche a Vita Lenta; il bellissimo account Instagram e Tik Tok che riprende attimi di vita campestre, borghi marittimi o usanze tipiche dei piccoli borghi di provincia cercando di veicolare un messaggio di tranquillità ai fruitori dei suoi contenuti, in un contesto sociale sempre più frenetico. Eppure, bellezza dell’account a parte, piano piano Vita Lenta è diventata una vera e propria estetica: una moda che impazza sui social, compressa in pochi secondi di video. Analizzando un certo tipo di contenuto che l’utenza media condivide, sembra però che lo slow living cozzi in modo abbastanza evidente con l’effettivo modello che la società, impregnata di capitalismo e frenesia, propone.

Vita lenta ma solo sui social: la realtà è sinonimo di edonismo del consumo

Vita Lenta

Un portone antico di un imprecisato paesino di provincia, il bucato che aleggia al sole, gruppi di anziani che giocano a carte o un gatto che sonnecchia al tramonto. L’estetica della vita lenta, negli ultimi anni, sta sempre più spopolando sui social; non è raro, infatti, imbattersi in reel, foto, o video che inneggiano alla bellezza dello slow living. Il messaggio che veicola questo stile di vita è, ovviamente, quello di godersi i piccoli istanti quotidiani ricacciando la frenesia di questo periodo storico e riscoprendo della lentezza e la beltà delle consuetudini.

L’estetica della Vita Lenta, in questa accezione, si propone come soluzione al capitalismo e al consumismo che, imperanti, ormai predominano nella gran parte della società. Le origini di questo stile di vita sono legate al movimento Slow Food italiano  fondato da Carlo Petrini in risposta alla popolarità emergente dei fast food negli anni ’80 e ’90. La proposta era godersi il cibo, assaporandolo con la giusta lentezza: una visione che è stata successivamente applicata ad altri contesti della società. Nonostante lo slow living non vieti assolutamente l’uso di dispositivi tecnologici, l’estetica Vita Lenta spesso mostrata da alcuni utenti risulta alquanto stridente e, per alcuni punti, anche un po’ classista ed elitaria.

Come può un social network, caratterizzato dall’immediatezza, essere strumento di veicolo per messaggi anti-frenesia? D’altronde, parafrasando Mark Fisher in Realismo Capitalista, quello attuale è l’ultimo stadio del capitalismo. In una società sempre più affannata verso le logiche del profitto e piegata alla produzione tutto assume una deriva consumistica; e anche la Vita Lenta tanto decantata non dura che una manciata di secondi, insomma, il tempo di un video che immortala una aperitivo frugale per poi passare al prossimo reel.

L’otium latino, ancestrale concetto dello slow living

La riappropriazione degli spazi e il condurre una vita scandita dall’incedere lento degli attimi non è di certo una scoperta recente. Già nella cultura classica il concetto di Vita Lenta era fondamento non solo della saggezza, ma via maestra per accedere alla filosofia. Nel mondo latino, per esempio, l’otium era il tempo della riflessione, della contemplazione e della cura della propria assennatezza; per otium si intendeva tutto ciò che era lontano dall’attività pubblica.

Una sorta di tempo dedicato alla campagna e ai propri studi, insomma un’attività che serviva all’affinamento delle virtù. In contrapposizione all’otium vi era il negotium, riferito invece alle varie occupazioni. Ovviamente l’otium antico non era per nulla inteso come l’attuale ”dolce far niente” che denota uno status di passività dalle attività quotidiane come, per esempio, quando si è in vacanza. L’otium latino era comunque prerogativa di chi si posizionava in un posto di alto rango all’interno della piramide sociale: magistrati, dotti, intellettuali. Un liberto non poteva certamente essere un esponente e praticante dell’otium.

C’è, tuttavia, un’analogia fra il concetto di otium classico e l’attuale ”dolce far niente”, o meglio la Vita Lenta, che oggi spopola sui social come un trend più che come filosofia di vita da seguire: in entrambi gli aspetti, sia quello più vetusto che quello odierno, questo modo di vivere può essere intrapreso da classi agiate. Un operaio difficilmente potrà condurre uno stile di vita interamente basato sullo slow living; così come in epoca classica l’otium – differente dall’ozio dispregiativo – era riservato ai ceti sociali più alti che svincolandosi dalle occupazioni coltivavano il proprio equilibrio psico-fisico. Oggi il tempo libero lo si organizza in base alle proprie esigenze; ma non tutti possono ambire allo slow living, per questo la narrazione di Vita Lenta risulta inverosimile e romanticizzata all’estremo.

La retorica della lentezza e le sue criticità

La vita di provincia, quella crepuscolare descritta da Guido Gozzano, Sergio Corazzini e Marino Moretti per ben intendere, è fatta di viali alberati, muri di cinta scalcinati, increspature di mare o di laghi ma anche di un incedere lento che tutti sembrano ricercare ma che nessuno, di fatto, accoglie nella realtà . Comprimere in un video di una manciata di secondi anziani che fanno le conserve, ambientazioni del Sud Italia e bambini che giocano a palla nella piazza del paese sarà sicuramente aesthetic e rilassante ma, a conti fatti, chissà quanti utenti si contornerebbero di realtà semplici lasciando la vita e le opportunità degli ambienti urbani.

La retorica stucchevole in cui una manciata di secondi di ordinaria normalità sono condivisi da migliaia di utenti, più o meno famosi sul web, o da influencer con un certo seguito non fanno altro che sottolineare un aspetto critico: lentezza ma solo sui social, la realtà è invece un circuito di vistosità dei consumi, come direbbe Thorstein Veblen, in cui si esiste solo quando si dimostra di esistere. Il social diventa mezzo di attestazione: secondo Veblen esiste una classe privilegiata in ogni società che tende a sfoggiare e mostrarsi in quanto la stima si concede solo in seguito all’evidenza, atteggiamento che Veblen definisce ”ozio vistoso”.

La contraddizione sta proprio in questo: anche avere tempo libero per condurre uno stile di vita basato sul dolce far niente è privilegio, per la maggior parte impraticabile: lo slow living condiviso da utenti popolari solletica l’emulazione dell’utente medio ma a conti fatti risulta uno stile di vita circoscritto a un esiguo numero di persone. Proprio come l’otium latino.

Vita lenta nell’epoca della frenesia: una sinestesia di intenti

Risulta chiaro che a chiunque faccia gola un vita tranquilla ma in un mondo dove la condivisione compulsiva, il digitale, il fascino della fruibilità di contenuti fa da padrone utilizzare l’estetica della Vita Lenta risulta ambiguo; forse, si potrebbe utilizzare l’espressione ”lentezza frenetica” per riferirsi a una sorta di momento di sospensione dalla velocità del mondo. Ormai essere performanti in tutto e a prescindere è diventato un dovere; una gara in cui anche se si arriva per primi non si è ancora capito cosa si vince. L’umanità è così divenuta un prodotto della performance.

La limitatezza dello slow living non vuole essere una critica allo spazio Instagram creato, ma solo una riflessione sul concetto di base; ci si accontenta della lentezza compressa in 15 secondi di reel da condividere nei propri feed ma, probabilmente, ciò che servirebbe un’educazione all’etica della lentezza come spazio di riappropriazione personale dei propri intenti, delle proprie consuetudini o aspirazioni senza sentire l’impellenza della condivisione astratta senza la messa in pratica dell’intento.

Stella Grillo

Photo Credits: Pinterest

Foto in copertina: italiani.it

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