Sportellate – Damian Lillard: non solo mister “clutch”

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Di Redazione Metropolitan

Il leader di Portland sta giocando la sua miglior stagione in carriera.

Scelto alla chiamata numero sei nel draft 2012 dai Portland Trail Blazers, con buona pace dei Bobcats che alla due hanno pescato Kidd-Gilchrist e dei Kings che alla cinque hanno optato per Thomas Robinson, -ma sappiamo bene tutti che il draft non è una scienza esatta- Damian Lillard ha subito vinto il Rookie of the Year nel 2013.

Nel 2015 ha firmato un contratto di cinque anni da 120 milioni di euro complessivi con i Portland Trail Blazers e fino ad oggi ha indossato soltanto la casacca della “Rip City” (ventiquattro milioni all’anno per uno come lui non sembrano nemmeno eccessivi).

Lillard ha preso parte a quattro All-Star Game ed ormai è il simbolo di un’intera città e di tutta la franchigia. Sulla maglia porta il numero 0 -in onore alla O della Oregon dove si trova Portland, della Oakland dove è nato, e della Ogden nello Utah dove ha giocato nel college- e Damian con quella canotta ha siglato vari buzzer-beater decisivi in questo arco di tempo in Nba, facendo conquistare molte vittorie insperate ai Blazers.

Il periodo di tempo finale, che solitamente riguarda l’ultimo minuto, ha preso il nome di “Dame Time”, nel quale Lillard sente che è arrivato il momento di decidere la partita. Quasi sempre ha avuto ragione nel fidarsi del suo istinto letale: lo confermano i numerosi gesti delle dita che fanno tic-toc sul suo polso dopo aver insaccato i canestri decisivi a pochi decimi dallo scadere, ad indicare le giocate “clutch” del prodotto di Weber State.

Lillard – Da bruco a farfalla

Ma sono tante le qualità cestistiche di Damian Lillard. In primis il saper segnare in ogni maniera, con penetrazioni, triple da distanze siderali, canestri in fade away, stepback, e molti altri modi per andare a referto. Senza dimenticare come sappia regalare assist lussuosi ai compagni, spezzando poi i raddoppi e le marcature sistematiche grazie a capacità di ball-handling straordinarie, dando perciò ai tiratori sul perimetro metri di spazio.

Ecco, considerato tutte queste prerogative, oggi Lillard sembra essere arrivato all’apice della sua maturità sportiva. E a quasi 29 primavere compiute sta disputando la prima finale di conference in tutta la sua carriera. Finora aveva raggiunto le semifinali della Western Conference con la maglia di Portland in due occasioni: nel 2014 e nel 2016, venendo sconfitto rispettivamente dai San Antonio Spurs e dai Golden State Warriors.

Però nel 2019 la squadra di Terry Stotts è riuscita ad imporsi nella serie del secondo turno contro i Denver Nuggets per 4-3. Proprio nella decisiva gara 7 “Dame” ha dimostrato a tutti gli addetti ai lavori come mai abbia raggiunto il pieno del suo percorso ad altissimi livelli.

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(Credit: Sportellate)

Perché sebbene sui tabellini di fine incontro abbia fatto registrare solamente 13 alla voce punti con un rivedibile 3/17 dal campo, dopo i primi due quarti in cui ha provato a mettersi in ritmo -ma non c’era niente da fare per sbloccarlo- il prodotto dell’università di Weber State di Ogden, nello Utah, ha preso in mano la situazione smazzando passaggi vincenti al resto del roster, facendo la voce grossa sotto canestro e soprattutto siglando due sole triple, ma di un peso specifico impareggiabile per il momento in cui sono arrivate.

Prove da leader

Ora Lillard, insieme ai compagni dei Trail Blazers, sta affrontando la finale della conference dell’Ovest contro gli alieni dei Golden State Warriors. La franchigia di Steph Curry & co. gioca alla Oracle Arena di Oakland a San Francisco, in California.

E per Damian è come un ritorno a casa, poiché -come detto all’inizio- il numero 0 di Portland è nato il 15 luglio 1990 proprio ad Oakland. Dame è cresciuto sulla costa est della baia di San Francisco tirando a canestro, ma anche dilettandosi con lo skateboard.

E gli farà sicuramente uno strano effetto giocarsi l’approdo alle Nba Finals nella città in cui ha plasmato le sue abilità con la palla a spicchi tra le mani, in cui ha dominato tanti suoi coetanei ai playground, e in cui gli amici di vecchia data della “bay” hanno visto muovere le prime armi e gli esordi del “Dame time”.

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Lillard – Una certezza

Da lì Damian di strada ne ha fatta. Ora è arma distruttiva completa e sa fare tutto alla perfezione. Nonostante la sconfitta in gara 1, può giocarsi queste finali di Conference con la testa libera di chi ha già sovvertito i pronostici nei due turni precedenti (in molti davano per favoriti Okc e Denver contro il team di Rip City).

Il gruppo è guidato da un ottimo coach come Terry Stotts, che ha dato luce ad uno dei sistemi di gioco offensivi della lega più efficaci, lasciando il pallino del gioco ai due creatori principali Lillard e Mccolum, e sfruttando i punti forti di ogni singolo giocatore.

Di Kanter il gioco in post basso e la forza a rimbalzo offensivo, di Collins l’ottima protezione del ferro, di Seth Curry la pericolosità sul perimetro, di Turner l’abilità nel punire gli avversari dal mid-range. Trovando inoltre un rivitalizzato Hood, che uscendo dalla panchina fa il terzo violino offensivo; senza dimenticare che i Trail Blazers stanno vivendo la post-stagione senza il centro titolare Nurkic.

Insomma, hanno una metodologia riconoscibile che sta dando i suoi frutti. Perché dall’arrivo di Stotts, contemporaneo a quello di Lillard nell’estate del 2012, Portland ha sempre partecipato alla post-season, eccezion fatta per la stagione 2012-2013. Tuttavia lo scorso anno, terminato con la cocente eliminazione dai playoff nel primo turno contro i Pelicans di Anthony Davis, la panchina di Stotts sembrava essere appesa a un filo, ma è stato soprattutto Lillard, leader del gruppo, a premere per la permanenza nell’Oregon dell’ex membro del coaching staff di Rick Carlisle della Dallas del titolo Nba del 2011.

https://www.youtube.com/watch?v=lFqlIc9qWg8

Breve focus sui playoff 2019 di “Dame”

Alcune importanti statistiche di Lillard raccolte in questa post-season ci spiegano come mai il suo apporto sia più incisivo rispetto alle edizioni degli ultimi due playoff. Prima di tutto il plus-minus di Damian è il più alto di tutti i suoi playoff giocati finora: +5.3. Un numero davvero importante se si considera che sta giocando 40.3 minuti a partita.

Un altro dato in aumento rispetto agli anni passati riguarda lo usage di “Dame”: quest’anno il 29.9 % di palloni delle partite dei Blazers sono gestiti dalla combo-guard di Oakland (due anni fa arrivò al 31.4 %). Ma mai come in questi playoff Damian segna così tanto. In 13 partite finora disputate ha mantenuto una media di 27.7 punti a gara, (aveva scollinato i 27 due anni fa, ma con 4 partite in postseason) con 2 recuperi ogni incontro; anche questo numero è un record personale di Damian.

Contro i Warriors però deve fare più fatica in difesa per inseguire i movimenti asfissianti e le scorribande di Stephen Curry. Un cliente forse troppo difficile da marcare per uno come lui. Però ricordiamoci: stiamo parlando di Lillard, l’uomo che in questo periodo sta strabiliando tutti, e che non vuole smettere di sorprendere ancora.

A cura di Sportellate.it

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