“L’uomo del labirinto” di Donato Carrisi tratto dall’omonimo libro con Toni Servillo e Dustin Hoffman, thriller oscuro e lisergico.
L’attrazione più considerevole che si poteva trovare in un bar negli anni cinquanta erano i flipper. Crogiuolo di luci e suoni che sollecitati da una biglia d’acciaio infiammavano una competizione aggressiva tra la compenente virile del locale. Il gioco è semplice seppur di difficile esecuzione, attraverso pulsanti esterni si comandano le piccole pinne note come “flippers”, le quali sospingono vigorosamente la pallina nel mezzo di un intricato groviglio di bersagli e ostacoli posti su un piano inclinato. Velocità tattile e occhio svelto sono i due elementi fondanti le qualità di un professionista che concentrato e vigile segue i movimenti rapidi e scattanti della boccetta. Quello che intercorre tra il primo lancio e la fine della partita è un tempo frenetico, convulso, dove la minima distrazione può causare la perdita totale dell’orientamento, causa obnubilamento di stimoli visivi e sonori, e di conseguenza della sfera velocissima. “L’uomo del labirinto” di Donato Carrisi è un pinball cinematrografico.
Una ragazza, Samantha Andretti, viene ritrovata per caso dalla polizia dopo quindici anni dalla sua scomparsa. Le viene affiancato il dottor Green un profiler, uno psicologo investigativo, che scavando nella mente della superstite cerca di acquisire informazioni utili per il ritrovamento del rapitore. Nel mentre un riscossore di denaro, cacciatore di uomini, Bruno Genko, al quale rimangono pochi giorni di vita a causa di un difetto cardiaco, decide di affiancare la polizia durante le indagini in quanto, lacerato dai sensi di colpi, anni prima si era rifiutato di collaborare per il ritrovamento della neoscomparsa. La trama così detta rappresenta l’embrione dell’intreccio in cui si dipana il racconto che è esso stesso un labirinto che si insinua gradatamente nella testa dello spettatore che impossibilitato a rispondere qualsivoglia stimolo esterno, visivamente inchiodato ai fatti. Donato Carrisi, noto scrittore e autore dell’omonimo romanzo da cui il film nasce, alla sua opera seconda dopo “La ragazza della nebbia” che gli è valso un David di donatello alla migliore opera prima, con “L’uomo del labirinto” alza il tiro e gira un thriller lisergico, ti mette nei panni di Samantha che sotto il potente effetto di droghe psicotrope cerca di ricordare il male infertole e i frammenti di memoria che ricostruiscono il percorso di segregazione, arrivano allo spettatore che con assoluta concetrazione deve ricostruire questo puzzle malato col rischio di perdersi anch’esso nei meandri labirintici della mente.
Samantha Andretti è interpretata da Valentina Bellè che ad oggi è certamente uno dei capolavori più belli che abbiamo in Italia. E’ bruttissima in questa film, ridotta a consumata suola di scarpa operaia, bravissima nel ruolo di confusa e traumatizzata oriunda del labirinto è un’attrice su cui il cinema italiano deve concentrarsi, focalizzare, perchè alla bellezza straordinaria che la caratterizza, affianca prestazioni raffinate e giuste, con intenzione, sentimento ed una voce, da non sottovalutare, soffocata, profonda, personale che come il verso delle odissiache sirene attrae magneticamente. Bruno Genko è Toni Servillo che non sbaglia mai, l’attore che forse più di tutti in Italia, gioca con perfetta armonia sulle sfumature, sui toni della voce, una recitazione che ricorda Toshiro Mifune, attore feticcio di Akira Kurosawa, famoso per la sua tecnica di modulazione delle emozioni, dalla riduzione all’eccesso e viceversa. Il componente che non ti aspetti è Dustin Hoffman, il dottor Green, che mette al servizio tutta la sua esperienza creando un personaggio sibillino, delicato, innocente, che dimostra una moralità limpida in nugolo di moralità infettate dal buio, una recitazione britannica, elegante, geniale.
E’ un film che bisogna vedere al cinema, sia per una questione estetica, di apprezzamento delle immagini, sia per la complessità dell’intreccio che richiede il massimo impegno visuo-cognitivo. Si suda molto all’interno del thriller e l’apocalisse di Giovanni accompagna, come un monito, i personaggi che attraverso un meticoloso montaggio partecipano a situazioni ed avvenimento che si concatenano, misteriosi e oscuri, alla ricerca di una verità che ossessiona dentro e fuori lo schermo. Il film riesce pienamente nel suo intento di suspense e lascia perpetuamente sospesi, in attesa di una situazione violenta, sospigendo al duro accavallamento di nervi fisici e neurologici. “L’uomo del labirinto” è magnifico e come le alette del pinball spinge il cinema italiano ad una nuova scoperta del cinema di genere che con Sergio Leone e Dario Argento aveva affascinato l’irragiungibile America. Dustin Hoffman è il pezzo centrale di una scacchiera che Maurizio Totti con Medusa sta cercando di conquistare per riportare la nostra arte al centro di un’estetica globalmente riconosciuta.