Luther Blisset. Ci sono giocatori destinati a lasciare il segno e altri che, loro malgrado, non riescono proprio a farsi dimenticare. Luther Blissett è uno di questi. Quando sbarcò al Milan nell’estate del 1983 lo fece da capocannoniere uscente del campionato inglese. Logico aspettarsi da lui caterve di gol, ma in Italia se lo ricorderanno più per i macroscopici errori sotto porta che gli varranno l’appellativo poco lusinghiero di “Luther Miss-it”.
Luther Blissett: dal Watford al Milan sfidando Platini
Se hai appena vinto la classifica dei marcatori nel campionato inglese ed arrivi in una squadra blasonata, ma in cerca di riscatto e “affamata” di gol, è ovvio che attorno a te si creino un cumulo di aspettative. Quando Luther Blissett sorvolò la “Manica” per atterrare all’aeroporto di Malpensa, nell’estate del 1983, non aveva forse fatto i conti con questi due fattori, né era al corrente della recente storia del Milan. Il club meneghino era alle prese con una lenta ricostruzione dopo essersi risollevato a fatica dalle ceneri dello scandalo calcioscommesse. Due anni di purgatorio in Serie B, macchiati dalla retrocessione maturata sul campo nel 1982. Proprio in quel campionato il Milan, che aveva chiuso al penultimo posto, aveva altresì fatto registrare il secondo peggior attacco della Serie A. Lo “squalo” Joe Jordan era stato capace di azzannare le difese avversarie solo due volte dimostrandosi non all’altezza della massima serie.
Fu forse alla luce di questi infausti precedenti che il Presidente Giuseppe “Giusy” Farina non esitò un attimo a sborsare 2 miliardi di lire per strappare al Watford il “bomber” nero, capocannoniere uscente della First Division con 27 gol. “Questo di miracoli se ne intende”, avrà pensato Farina. Il Watford, allora comandato da Elton John, era riuscito infatti nell’impresa di piazzarsi secondo dietro al Liverpool da neopromosso in Prima Divisione. Tutto merito dei gol di Blissett, attaccante forte e spietato, capace di segnare di testa, in contropiede, al volo…insomma: in ogni modo possibile.
Non sempre è tutto oro ciò che luccica. Le cifre di Blissett erano infatti abbastanza eclatanti da far passare in secondo piano una media gol poco invidiabile. D’altronde sarà lui stesso ad ammetterlo una volta arrivato al Milan:
“In Inghilterra avevo la media di un gol ogni tre palloni giocati: non è forse abbastanza?“
No, non è abbastanza. Non quando la squadra non ti gira attorno e fatica magari a creare gioco: cosa fai se ti capita un solo pallone a partita? Leggenda vuole che i goliardici tifosi inglesi avessero fatto il “callo” agli errori di Blissett, tanto da farglieli passare in cavalleria e canalizzare la rabbia verso la scelta di simpatici soprannomi. Luther Missit (Luther sbaglialo o Luther lo sbaglia), sarà quello che lo accompagnerà anche qui da noi in Italia, fin quando la penna tanto lucida quanto irriverente di Gianni Brera non coglierà un paragone fulmineo: Luther Callonissett, condensazione tra i nomi del centravanti giamaicano e di Egidio Calloni, altro uomo d’area rossonero con un’inveterata propensione all’errore grossolano.
E pensare che Blissett si era presentato spavaldo e senza remore:
“Se Platini ha segnato 18 gol lo scorso anno, io ne farò 19. Voglio diventare l’idolo dei più giovani.”
“Un bel tacer non fu mai scritto”. Del tre volte Pallone d’oro Blissett non riuscirà a collezionare neanche la maglia durante il canonico “terzo tempo”. Un’altra leggenda, ché in fatto di bidoni si espandono in modo magmatico, vuole però che i ragazzini l’avessero davvero assurto a modello, tanto che il suo nome risuonava nelle piazze tra una partita e l’altra, oggetto di imprecazioni e scherno:
“Accidenti a te! Neanche Luther Blissett avrebbe sbagliato quel gol…”
Luther Blissett: perché l’archetipo del “bidone”?
Ma perché definire proprio Blissett l’archetipo del “bidone”? Innanzitutto bisogna precisare che l’origine di un simile accostamento risulta ancora poco chiara. Può darsi che l’immagine alluda alla quantità di soldi sprecata (buttata in un bidone per l’appunto) per assicurarsene le prestazioni o all’imbarazzo causato dalla goffaggine delle sue gesta atletiche che lo facevano apparire, appunto, ingombrante. Qualunque sia l’etimologia, è bene precisare che Blissett non fu il primo campione straniero a deludere in modo così clamoroso. Premesso ciò, il mito del bidone racchiude in sé una serie di caratteristiche riconoscibili che il giamaicano rispecchia in pieno.
L’insana passione per l’esterofilia
E’ il 1981 quando la Serie A decide di riaprire le porte agli stranieri e allora tutte (o quasi) le società si gettano alla caccia del campione esotico in grado di far compiere il salto di qualità alla squadra…per poi accorgersi di aver fatto solo un grande salto nel vuoto.
Ad onor di cronaca il primo vero “bidone” che abbia calcato i campi della nostra Serie A è stato Luis Silvio, ala destra (almeno nelle intenzioni) che la Pistoiese anò a pescare in Brasile per pochi milioni di lire, prma di accorgersi di essere stata letteralmente “truffata”. Pare che il Palmeiras avesse organizzato un’amichevole fittizia contro dei magazzinieri. Silvio fece faville e, sfortuna volle, il DS della Pistoiese che transitava da quelle parti decise di portarselo in Italia.
Nel caso di Luther Blissett una simile morbosità si palesa in modo ancora più evidente. Il presidente Farina, nel suo caso, prese un vero e proprio “abbaglio” e fu capace di cestinare Aldo Serena, arrivato un anno prima in prestito dall’Inter, e che negli anni seguenti diventerà centravanti della Nazionale italiana. Il nome “Serena” suonava forse troppo eufonico e autarchico alle orecchie del Presidente che preferì adeguarsi alla moda del momento e riempì il secondo slot disponibile per gli innesti stranieri con il terzino belga Gerets: un’altra delusione.
La presentazione in pompa magna
Il nome di Ma Mingyu potrebbe forse non dirvi nulla. Si tratta del primo, e finora unico, calciatore cinese che abbia mai giocato in Serie A. Ad acquistarlo fu il Perugia dell’allora presidente Gaucci (e questo può dirla lunga sull’eccentricità del personaggio). Sbarcò in Italia nell’estate del 2001, con la Cina che guardava speranzosa verso il Mondiale nippo-coreano il solo a cui la Nazionale del “Dragone” abbia mai partecipato. Mingyu era anche capitano di quellla Nazionale e rappresentava una sorta di ambasciatore simbolico per il proprio Paese.
“Se Del Piero è soprannominato il “Pinturicchio” io credo di poter essere paragonato a Giotto. Qui in Italia spero di poter ripercorrere le orme di Nakata, anzi voglio fare meglio di lui.”
Alla faccia della modestia! Paragonarsi in un colpo solo ad un potenziale Pallone d’oro e al miglior giocatore asiatico di sempre. Contagiato forse dalla megalomania del proprio Presidente il cinese lancerà subito la sua sfida al campionato. Peccato che nessuno potrà raccoglierla, visto che non vedrà mai il campo se non per una fugace apparizione in Coppa Italia contro la Salernitana. Di lui si ricordano solo le parole tronfie della vigilia e, come immancabilmente accade, una serie di storie ricamate ad arte: si vocifera infatti che la sua carta d’identità fosse menzognera e che, in realtà, non avesse 28 anni bensì 32.
Chi abbia seguito con un po’ di attenzione quest’articolo non può che riconoscere una simile protervia anche in Blissett. Nel suo caso un po’ di presunzione era ammessa, si trattava pur sempre del capocannoniere inglese, ma il paragone con “Le Roi” Michael era un peccato mortale. Un peccato condiviso con tanta della stampa sportiva, anche di quella più autorevole, che nel precampionato lo aveva eletto a “miglior acquisto estivo” pronosticandogli un avvenire più roseo di “mostri sacri” come Zico e Falcao. Ma si sa, il calcio è materia troppo spesso opinabile, cosicché il vento della critica cambia troppo spesso direzione. Da “bomber nero” a “Luther Miss-it” è un attimo.
Fallire nelle occasioni più importanti
A volte il genio del “bidone” è così surreale da risultare artistico. Non basta saper sbagliare i gol o commettere errori madornali, bisogna saper scegliere anche il momento più opportuno in cui farlo. Chiedetelo a Vratislav Gresko. Sarebbe rimasto un onesto e anonimo terzino se, il 5 maggio 2002, non avesse effettuato un contro-assist per il pareggio di Poborsky in un Lazio-Inter 4-2 che viene ancora oggi ricordato come il maggior psicodramma che il campionato abbia mai vissuto. Un semplice tocco per entrare nella storia, in concomitanza di una data consacrata dall’ode più celebre della nostra letteratura. Se non è poesia questa…
Luther Blissett scelse proprio la partita più importante di tutte, il Derby della Madonnina, per dare sfogo alla climax delle sue sciagure. Un gol sbagliato a porta vuota in un Milan-Inter finito 2-0 per i nerazzurri. Una situazione ai limiti del paradosso, tanto da far sussultare d’insolita rabbia anche l’imperturbabile Castagner.
Luther Blissett: riciclarsi dopo il calcio
Come tanti “bidoni” di più o meno nota fama, poi, anche Luther Blissett si è “riciclato” in un altro ambito professionale. Dopo aver abbandonato la carriera da allenatore, più per disprezzo che per reale incapacità (“Non mi cercavano squadre adatte al mio prestigio”), Blissett ha tentato la strada dei motori, fondando insieme ad alcuni ex compagni di squadra, il team “48Motorsport” con l’intento di partecipare alla 24 ore di Le Mans, obiettivo fallito visto che non c’è traccia della scuderia negli almanacchi. L’intento, però, era di quelli davvero nobili. Blissett aveva infatti dichiarato di aver fondato la 48Motorsport anche per dare un’opportunità ai ragazzi con origini caraibiche di sfondare nel ciruito delle grandi corse. Si tratta della cosiddetta “generazione Windrush” figlia dell’immigrazione dai territori dalle ex colonie del Commonwealth incentivata sin dal 1948 per risollevare le sorti economiche di un Paese prostrato dalla guerra.
Sin dall’inizio degli anni ’70, a ripresa economica avvenuta, i figli di quella generazione di migranti, hanno subito l’ostracismo dei governi conservatori che, nell’ambito della lotta all’immigrazione clandestina, li hanno revocato diritti basilari come quello al lavoro e alla salute costringendoli ad abbandonare il Paese.
“Il nostro progetto commemora l’arrivo della Giamaica della Windrush il 22 giugno 1948, ed è un modo di coinvolgere un piccolo gruppo di ragazzi caraibici, e di altre culture, nel mondo dello sport motoristico ad alti livelli, perché è un fenomeno ancora assente in questo ambito. Potremmo essere dei precursori e aprire le porte di questo mondo a tanti ragazzi”.
Luther Blissett fenomeno letterario
“Ciascuno può essere Luther Blissett, semplicemente adottandone il nome” – Slogan del collettivo “Luther Blissett”
La figura di Luther Blissett è stata tanto enigmatica ed eccezionale da ispirare un’intera sottocultura giovanile. A metà degli anni novanta, un gruppo di giovani intellettuali bolognesi diede vita al collettivo “Luther Blissett”, “nome sotto il quale si celano un gruppo di destabilizzatori del senso comune“, come si definirono essi stessi.
Il collettivo, che sarebbe poi confluito nel gruppo Wu Ming, aveva cominciato a pubblicare diverse fanzine oltre che a divulgare clamorose notizie false, come quelle relative alla morte della scrittrice Susanna Tamaro, autrice del best seller “Va’ dove ti porta il cuore”, adottando modalità espressive tipiche del ‘77 italiano. Si era poi fatto conoscere al grande pubblico attraverso la pubblicazione del romanzo Q, un best seller tradotto in oltre 14 lingue.
Fu anche grazie all’opera di quel movimento se la figura di Blissett venne riesumata dal dimenticatoio. L’attaccante giamaicano, con i suoi errori grossolani, è diventato un’icona pop nel senso di vicinanza al pubblico. Chiunque, al calcetto con gli amici o in un campo di periferia può sentirsi Luther Blissett, basta solo adottarne il nome.