Macbetto, sesso, morte e potere

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Di Redazione Metropolitan

Macbetto o la chimica della materia, Trasmutazioni di Giovanni Testori. Regia di Roberto Magnani. Con Roberto Magnani (Macbet), Consuelo Battiston (Ledi Macbet), Eleonora Sedioli (la strega).

Una donna esile si contorce sul pavimento, nel liquido amniotico e nel sangue, e accanto a lei Macbetto, che le ha dato vita. Un parto mostruoso, grottesco, quello della bramosia del potere, che prende la forma di una strega e ispira il suo disegno delittuoso. Lei, lui e lady Macbet, avvinghiati visceralmente l’uno all’altro, in una triade di morte, sesso e sete di dominio che sprofonda nella materia e  nell’oscurità.

MACBETTO (PHOTO CREDITS RAVENNA TEATRO)

Roberto Magnani firma la regia dell’opera di Testori, del 1974, in scena al teatro Rasi di Ravenna fino al 20 ottobre, dove il coro scompare ed è lo stesso Macbetto a impersonarlo. Dove il linguaggio osceno viene scandito in versi incrociandosi al dialetto lombardo, al latino e all’italiano, in una sintesi di dissacrazione e sperimentazione linguistica. I dialoghi sconcertanti per la loro crudezza alternati a quelli amaramente comici e l’intera rappresentazione avvolta dal bios.

ROBERTO MAGNANI (PHOTOCREDITS ENRICO FEDRIGOLI)

Sangue, liquido seminale, melma. Un’opera, quella di Testori, che Magnani ha definito “materica, biologica, un continuo farsi e disfarsi che richiama le ragioni profonde del teatro stesso che è, per paradosso, biologia”. Perché, spiega ancora il regista, “è l’arte che, pur avendo una questione legata alla morte e al suo potere, non può essere senza un qui e un’ora, senza un pubblico che ti guarda, e che è, nella sua essenza, un organismo vivente”.

MACBETTO ((PHOTO CREDITS RAVENNA TEATRO)

Lo spettacolo, prodotto dal Teatro delle albe, continua il percorso di ricerca sulla musicalità della lingua del teatro, attraverso le suggestioni del dialetto, già esplorate dalla compagnia di Marco Martinelli ed  Ermanna Montanari portando in scena spettacoli come Lus del 2015 e E’Bal del 2017 di Nevio Spadoni. Poi, appunto, l’incontro con Macbetto che, “rispetto alle altre due opere della Trilogia degli Scarrozzanti, Ambleto ed Edipus – racconta Magnani – è l’unica scritta in versi, meno calata nel lombardismo, quella che si presta di più ad essere portata al di fuori di una riconoscibilità geografica”.

MACBETTO (PHOTO CREDITS RAVENNA TEATRO)

Nella riscrittura di Magnani, la riduzione a tre soli personaggi che si rincorrono in un gioco vorticoso, è emblematica la figura di Macbetto che “impugna le parole del coro, in apertura e nel finale, e rappresenta l’attore tout court, che può moltiplicarsi e smembrarsi, impersonando ora la comunità ora un segmento di corpo,  capace di dar voce a tutte le persone che lo abitano”.

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Anna Cavallo