Malcolm McDowell, Alex e tutto il resto

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Di Redazione Metropolitan

Tutti si ricordano di lui per l’antieroe più ultraviolento del cinema. I suoi infossati occhioni blu fissi sullo schermo, che lentamente prende le distanze, e la sua stessa voce fuori campo diventano leggendari, già dal primo ciak. Del resto non dev’essere stato facile per Malcolm McDowell scrollarsi di dosso l’etichetta del cattivo, dopo aver interpretato Alexander “Alex” DeLarge. Gran parte dei meriti però vanno proprio alla capacità dell’attore di addentrarsi in uno dei personaggi più complessi e discussi del grande schermo.

Ma l’attore britannico ha fatto molto di più. Nato il 13 giugno del 1943 a Horsforth, un piccolo sobborgo di Leeds, dopo aver lavorato nel pub del padre, studiò alla London Academy of Music and Dramatic Art. Nel suo primo ruolo è subito il protagonista, nel film “Se…”(1968) di Lindsay Anderson. L’opera, vincitrice della Palma d’Oro a Cannes, lo vede nei panni di Mick Travis, un ribelle che si vendica dei torti subiti dagli studenti “anziani” e dal corpo insegnante. L’interpretazione ottima e il periodo di contestazioni giovanili di quegli anni faranno di Malcolm un attore famosissimo.

Malcolm McDowell – photo credits: web
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Alex DeLarge, violenza pura e diritto di scegliere

Tre anni dopo il convincente debutto, arriva la grande chiamata. Stanley Kubrick lo vuole come attore principale in “Arancia meccanica”, film che narra le gesta, in un futuro non precisato, di una giovane banda criminale nella metropoli londinese. Al comando dei cosiddetti “Drughi” c’è proprio l’Alex di Malcolm McDowell. Il suo antieroe ha come principali interessi lo stupro, l’ultra-violenza e Beethoven. Il suo linguaggio, i suoi costumi e i suoi sguardi agguerriti diventano celebri perle del cinema, tanto quanto il punto di ritrovo del protagonista e dei suoi (in)fedeli compagni; è al Korova Milk Bar che i quattro malviventi bevono latte “corretto” con sostanze stupefacenti e mescalina.

Malcolm McDowell – photo credits: web
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Malcolm, sotto le perfezionistiche direttive di Kubrick, darà vita ad una delle personalità più discusse e più estreme della storia. E non ne uscirà indenne: in una delle scene più iconiche del film Alex è costretto a vedere film cruenti con gli occhi tenuti aperti da dei morsetti e, nonostante gli occhi dell’attore fossero anestetizzati, le sue cornee subiscono lesioni che ne peggiorano la vista per diversi giorni. È un dottore vero quello ripreso a somministrare il collirio all’attore, così come sono reali alcune delle sue urla. Una recitazione decisamente realistica la sua.

Ci aveva visto giusto Kubrick, quando lo scelse, senza nemmeno chiedergli di fare un provino. Ne aveva intuito la genialità, come la scelta non prevista dal copione di cantare euforicamente “Singin’ in the rain” durante una scena brutale, che il regista reputava “piatta” prima della prestazione canora.

Malcolm McDowell – photo credits: web
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Malcolm diventerà il volto della violenza pura, della malvagità irrazionale degli uomini, a cui verrà tolto il libero arbitrio in un percorso riparatore che lo trasformerà in vittima e quindi “buono” agli occhi degli spettatori. Il film sarà censurato, vietato ai minori e addirittura ritirato dalle sale per volere del regista stesso.

La carriera, dopo Alex

Dopo il successo artistico torna ad essere Mick Travis per Lindsay Anderson nelle black comedy “O Lucky Man!”(1973) e “Britannia Hospital”(1982). Nel 1979 un’altra immagine gli rimane incollata addosso, quella dell’imperatore romano Caligola che personifica nell’omonimo film, diretto da Tinto Brass e prodotto da Bob Guccione (fondatore della rivista Penthouse), che impose scene di nudo e sesso esplicito. Il risultato pornografico venne bocciato dai critici e rifiutato dal pubblico, un disastro al botteghino per un film a modo suo ambizioso che vedeva McDowell recitare al fianco di Peter O’Toole, Paolo Bonacelli ed Hellen Mirren.

 Malcolm McDowell – photo credits: web
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Non sarà l’unica esperienza italiana per l’attore che sarà diretto da Sergio Citti in “Mortacci” e da Ugo Gregoretti in “Maggio musicale”, entrambi del 1989. L’anno dopo è Roland Emmerich a dirigerlo nel fantascientifico “Moon – Attacco alla fortezza”. Dopo un ruolo da protagonista nell’opera prodotta in Unione Sovietica, “L’assassino dello Zar”, nel 1992 interpreta se stesso nel cast corale nel film “I protagonisti” di Robert Altman. Poi a volerlo sarà Morgan Freeman, all’esordio come regista, nel film “Bopha!”(1993).

Dopo aver preso parte in numerosi B-movies e in molte serie TV (alcune come guest star), a metà degli anni novanta si dà al doppiaggio in molte serie animate, “Wing Commander” e “Le avventure di Superman” tra le altre. Negli anni duemila presta la sua voce per alcuni videogiochi, ma soprattutto interpreta il dottor Samuel Loomis in “Halloween – The beginning”(2007) e in “Halloween II”(2009) entrambi diretti da Rob Zombie, che lo richiamerà per una parte in “31”(2016). Tra le apparizioni più recenti meritano una citazione la serie “Mozart in the Jungle”(2014-2018) e la partecipazione al film “Bombshell – La voce dello scandalo”(2019).

Malcolm McDowell – photo credits: web
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La vita privata

Malcolm si è sposato ben tre volte. La prima volta nel 1975, con l’attrice Margot Bennett che lascia nel 1980, anno in cui si sposa con Mary Steenburgen, anche lei attrice. I due hanno avuto due figli (Lilly Amanda e Charles Malcolm) prima del divorzio avvenuto nel 1990. Passa un anno e l’attore si sposa con l’artista Kelley Kuhr, l’attuale moglie con la quale ha avuto tre figli (Beckett Taylor, Finnian e Seamus). Oggi vivono a Ojai, in California, e trascorrono parte dell’anno in un casolare in Toscana, segno che l’Italia non l’ha mai dimenticata.

Insomma ne ha fatte di cose Malcolm McDowell. Sempre di più, aumentando il carico ed espandendo il proprio raggio d’azione. Forse per provare in qualche modo a spogliarsi da un Alex DeLarge imponente, un bel peso da sorreggere. Ma poco male. Perché a noi quel suo crudele sofisticato, amante della cultura e della bellezza, a cui viene tolta la scelta, non è poi così tanto dispiaciuto. Anzi, ci ha affascinato proprio tanto. Artisticamente parlando, si intende. E lo farà per sempre.

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