Manu Chao è uno degli artisti più iconici del nostro tempo che, non rifacendosi a nessuno, ha rifatto tutto in chiave estremamente personale: dalla fusione di generi musicali diversi, alle canzoni intrise di malegría sul mondo per com’è oggi.
La vuelta al mundo di Manu Chao
José Manuel Arturo Tomás Chao Ortega nasce il 21 gennaio 1961 a Parigi da genitori spagnoli fuggiti dalla dittatura di Francisco Franco. Si potrebbe supporre che dal padre Ramón Chao, giornalista galiziano, abbia ereditato il contatto con la sincerità della natura; dalla madre Felisa Ortega di Bilbao l’indole battagliera basca.
Manu Chao cresce tra Boulogne-Billancourt e Sèvres, la zona suburbana della capitale francese. Nel 1987, insieme al fratello Antoine e al cugino Santiago Casariego, fonda i Mano Negra. Il successo arriva, immediato, in Francia con Mala Vida ma il gruppo ha vita breve: dopo il tour in Sudamerica si scioglie. Così Manu Chao comincia a viaggiare tra Africa e America Latina e decide di intraprendere la carriera solista con i Radio Bemba Sound System.
I viaggi in giro per il mondo hanno influenzato notevolmente la produzione, i testi e la musica di Manu Chao. Nelle sue canzoni si fondono diversi generi musicali: il pop col folk, il reggae col punk , rock e ska. Così come l’utilizzo di lingue diverse, spesso all’interno di una sola canzone. Nei suoi testi si parla spagnolo, francese, portoghese, inglese ma anche italiano, galiziano e arabo. Ed è questa la cifra stilistica che si riflette anche nei temi che affonta: Manu Chao è comprensibile da tutti e parla di tutti. É inafferrabile, fedele al suo spirito, libero e lontano dalle politiche commerciali che governano il mercato discografico.
Manu Chao: da Parigi a Tijuana nessuna frontiera
Da Clandestino, con cui ha aperto le danze da solista nel 1998, ad oggi la penna di Manu Chao non ha smesso di essere impegnata nella difesa delle minoranze, nella lotta alla discriminazione e alle disuguaglianze. Già nel primo album si respiravano messaggi di pace e solidarietà, come in Desaparecido, in cui l’artista si oppone fermamente ai regimi totalitari e denuncia i crimini impuniti dei potenti.
Con Bongo Bong, primo singolo estratto rimasto in cima alle classifiche per settimane, Manu Chao propone un’autocover. Il brano era originariamente dei Mano Negra, ma nella versione solista è molto più attraente, ironico e profondo che nella prima, davvero poco intrigante. Questo è l’inno di coloro che lasciano la confortevole jungla per tentare la fortuna nella metropoli moderna, in cui è più difficile trovare i propri spazi. Se laggiù “mama was the queen of the mambo, papa was the king of the Congo”, qui bisogna fare i conti con persone che non impazziscono al suono del bongo.
Da Próxima estación: esperanza a Radiolina
Il 2001 è l’anno del secondo disco solista, Próxima estación: esperanza. Da qui viene estratto il brano che diventa hit mondiale Me gustas tu e uno dei tributi ai suoi maggiori riferimenti, Bob Marley, Mr Bobby. Radio Bemba Sound System è l’album registrato dal vivo durante il tour. Dopo l’intro, la prima traccia a partire è Bienvenida a TIjuana: la città diventa un mix attrattivo di “tequila sexo marijuana”. La provocazione è per chi sta geograficamente un po’ più su e che proprio lì ha alzato un muro per proteggersi dall’emigrazione latina facendo però diventare in questo modo Tijuana simbolo delle contraddizioni incarnate dal popolo americano, che respinge ciò che lo attrae e che rende illecito ciò che è creativo.
Il 2007 è l’anno di La Radiolina, anticipato dal primo singolo estratto, Rainin’ in Paradize in cui Manu Chao parla della guerra, in particolare di quelle che si combattono nell’area afro-orientale e che troppo spesso l’Occidente dimentica. Ancora una volta nel mirino finiscono i potenti e i corrotti che giocano a fare la politica. Nel disco compaiono anche due brani che sono omaggi a Barcellona: Me llaman calle, in cui la prostituzione e la discriminazione sono i temi centrali; e Rumba de Barcelona che pone l’accento ancor più dell’altra sull’indole callejera della città catalana.
Ironia per la rivoluzione
Scegliere tra tutte le canzoni di Manu Chao quella che più riflette la sua indole è alquanto difficile, sono tutte ugualmente figlie dello stesso spirito, della stessa libertà e multiculturalità. Lui ci ha ha fatto comprendere l’inconsistenza delle frontiere, che vanno e vengono, che sono relative, e immobili solo nella testa di chi le pensa tali. Lui stesso è corpo e mescolanza sconfinata di culture diverse, e allora come stabilire dove comincia una e finisce l’altra? Così le ha remixate per andare a cercare le sue radici e le ha trovate addirittura altrove, in un terzo luogo della sua storia: l’America Latina, che nel mondo di Manu Chao non sta in nessun sud, ma è al centro.
“Tú no tienes la culpa mi amor, que el mundo sea tan feo”: ma allora come reagire quando non si ha il potere che oggi serve per cambiare le cose? Con malegría: trasformando il mondo con le sue brutture in un sound gioioso. L’ironia, ci dice Manu Chao, è la chiave per leggere e narrare questi tempi.
Giorgia Lanciotti
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