Piange tutta quanta Ilio quando muore Ettore, il migliore di tutti i Troiani. Piange tutta quanta la Grecia quando muore Achille, il guerriero più prode di tutti gli Achei. Piange tutta quanta la Gallia quando muore Vercingetorige, il condottiero più valoroso di tutti i Barbari. E così oggi piange anche tutto il mondo del calcio per la morte del calciatore più forte di tutti i tempi: Diego Armando Maradona.
La morte e i traguardi
Aveva 60 anni. Diego Armando Maradona è venuto a mancare dopo un arresto cardiorespiratorio. Si trovava nella sua casa a Tigre, cittadina nelle vicinanze di Buenos Aires, dove si era stabilito in seguito ad un intervento chirurgico subito al cervello lo scorso 3 Novembre.
Si è spento così, il 25 Novembre. Guarda caso lo stesso giorno in cui morì anche George Best, un altro formidabile, quanto sregolato, fuoriclasse di questo sport.
L’eroe dei due mondi. L’idolo assoluto di tutta l’Argentina, che da capitano trascinò l’Albiceleste sul tetto del mondo, conquistando il Mondiale nel 1986. Il paladino indiscusso di Napoli, che con la maglia azzurra regalò ai Partenopei una vera e propria golden age, costellata di trofei e successi: due campionati, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana ed una Coppa UEFA.
Lui, che paradossalmente non poté mai vincere un Pallone d’Oro, dal momento che fino al 1994 quel premio era riservato esclusivamente ai giocatori europei (ne ricevette poi soltanto uno alla carriera nel 1995).
Autore di goal ineguagliabili. Da quella surreale punizione contro la Juventus, che sfidò ogni legge della fisica, a quella fantasmagorica galoppata da centrocampo contro l’Inghilterra, che finalizzò poi in rete dopo aver saltato metà squadra avversaria. Gioielli di inestimabile valore, che resteranno per sempre incastonati nella corona del calcio. Miracoli terreni, che rimarranno per sempre scolpiti tra i capitoli della sua Bibbia.
Maradona, il Dio del calcio
Muore un simulacro. Il simulacro del calcio. Così come lo è stato Canova per la scultura, Mozart per la musica, Caravaggio per la pittura. Intelligenza, rapidità, estro, eleganza. Una amalgama armoniosa dal potenziale inesauribile e soprannaturale, che sembrava essere stata plasmata direttamente dalle mani di Dio. Un mostro sacro, in cui inventiva, istinto ed abilità d’esecuzione si fondevano insieme per poi estrinsecarsi in un’unica perla di sublime rarità. Un prodigio irripetibile, un fenomeno incomparabile. Magnifico, come quel Lorenzo che in passato lo fu per altri meriti.
Un artigiano dello straordinario, che è riuscito a forgiare degli autentici capolavori con un semplice pallone in mezzo ai piedi. Allo stesso modo di un visionario artista, capace di rendere una macchia informe di colore un’opera di bellezza immortale, soltanto attraverso i colpi del suo pennello. Come un antico aedo, in grado di elevare la pagina bianca a poema leggendario, soltanto attraverso la danza della propria penna.
“E così ora ogni stadio sta, attonito e in silenzio, pensando all’ultima magia di quell’uomo fatale. Né sa quando una simile orma di piè mortale il suo verde manto a calpestar verrà…”, versificherebbe così oggi il poeta, intitolando la propria ode non più “Il cinque Maggio”, ma “Il venticinque Novembre”.
Maradona è stato tutto questo e, probabilmente, anche di più. Muore un semidio tra i mortali, partorito dall’unione tra il genio e l’eccezionalità. Muore “El Pibe de Oro”, muore la “Mano de Dios”. Muore Diego Armando Maradona e forse insieme a lui anche un pezzetto di tutti noi tifosi. Perché se il Calcio è il Creatore, Maradona è stato la sua Creazione. Il suo miglior campione, il suo primo uomo, il suo Adamo.
Buon viaggio, D10S.
TARTAGLIONE MARCO
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