Marinetti, noto al secolo come Filippo Tommaso Marinetti, nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1876. Scrittore, poeta ma soprattutto fondatore di quella che sarà la prima Avanguardia storica del Novecento italiano: il Movimento Futurista.
Marinetti e la prima pubblicazione del Manifesto
Filippo Tommaso Marinetti, personalità anticonformista e temeraria, fingendosi innamorato della figlia di un ricco egiziano comproprietario del quotidiano francese Le Figaro, riesce a far pubblicare in prima pagina un suo testo intitolato “Le Futurisme”. Il suddetto testo composto da undici punti ben precisi, sottende a quello che poi sarà il Movimento Futurista.
Una serie di diciture che descrivono le peculiarità della nuova avanguardia storica, sostanzialmente, pronta a rompere con il romanticismo, il lirismo e la solennità della letteratura passata. Il terzo punto del Manifesto, designa proprio questa rottura con il remoto esaltando il dinamismo letterario e l’impulsività poetica, quasi febbrile:
”La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno”.
Tuttavia, prima della pubblicazione del Manifesto sul quotidiano parigino, divulgazione che fece scalpore in tutto il mondo, Marinetti inviò sotto forma di volantino il suddetto Manifesto ai vari intellettuali del tempo, facendolo pubblicare il 5 Febbraio sulla Gazzetta dell’Emilia.
Marinetti: ideologie della nuova Avanguardia
Le parole chiave dell’idea che sottostava alla fondazione del Manifesto potevano riassumersi in: coraggio, temerarietà, audacia. Velocità, energia, pericolo. Un po’ come lo stesso Marinetti, autore del testo del Manifesto, si era espresso nei primi punti di quest’ultimo. La dottrina futurista era quindi un inno alla modernità: l’arte, in ogni sua forma, era il bersaglio dei giovani futuristi. L’obiettivo era svecchiare la letteratura, la pittura, rompere con la staticità del passato. Si esaltava, per cui, la bellezza della velocità a sfavore di tutto ciò che era antico: musei, archeologi, reperti. Tutto ciò che poteva riportare ad una società che non prendesse in considerazione il progresso. Anche le ideologie riguardanti le opere che potevano essere definite capolavori, cambiarono. Per i futuristi, un’opera era degna di questo nome se incitava alla sovversione: non c’era alcuna bellezza, se non, nella lotta.
Marinetti, l’arte come esaltazione del pericolo
Secondo Marinetti, la nuova arte doveva fondarsi sulla passione dell’impulsività, dell’incoscienza e del pericolo. Lo scopo era quello di distruggere le vecchie concezioni artistiche, plasmandone una furente, sopraffatta dall’estasi e dall’energia. Le nuove visioni culturali, infatti, dovevano rimodellarsi e fondarsi sulla passione per il pericolo, la temerarietà, abituarsi all’essere energico, alla velocità. Il concetto di velocità era, probabilmente, riferito e derivato da quegli anni molto produttivi in termini di nuove tecnologie; era l’epoca in cui iniziavano a circolare le prime automobili, insieme ad un dirompente progresso. La civiltà moderna, inoltre, doveva cantare la lotta glorificando la guerra che era il solo modo per attuare una pulizia del mondo, il militarismo, la distruzione. Tutto questo operando in un continuo rifiuto del passato e, con esso, tutta l’arte che ne conseguiva: musei, biblioteche, accademie.
“È dall’Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il Futurismo perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.”
Personalità futuriste e il legame con il fascismo
Fra i seguaci del futurismo, oltre Marinetti, si ritrovano nomi noti come Aldo Palazzeschi e Corrado Govoni. La nuova Avanguardia artistica, però, che nella produzione letteraria fu poco persuasiva, esplose particolarmente nella pittura, nella musica e nella scultura. Nel 1910 uscì, infatti, il Manifesto dei Pittori futuristi seguito nel 1911 dal Manifesto dei Musicisti futuristi, oltre ai drammaturghi, nello stesso anno; nel 1912 il Manifesto tecnico della letteratura futurista, decantava la distruzione della sintassi e le parole in libertà. Zero punteggiatura e logica, il foglio bianco era come una tela per dipingere: nessuna regola, solo immaginazione straripante. Le manifestazioni del Movimento Futurista, vanno però ricercate nella scultura e nell’urbanistica. Umberto Boccioni e Carlo Carrà furono i due esempi per eccellenza. Nel 1920 la nuova avanguardia perde la sua dimensione sovversiva confluendo in una blanda celebrazione del regime fascista.
Marinetti, anni prima, aveva infatti gettato le basi di quell’ideologia nazionalista che poi si ritrovò alla base del fascismo: la guerra come solo unico mezzo di igiene verso il mondo. Sicuramente, fu profetico: alcuni degli undici punti toccano avvenimenti storici che poi realmente accadranno ma che, tuttavia, lo stesso autore non poteva neanche lontanamente prevedere o immaginare. Basti pensare all’undicesimo punto del manifesto e a quello che accadde in Russia diversi anni dopo: una rivoluzione iniziata con la Rivoluzione di Febbraio, datata 1917, e conclusasi con la successiva Rivoluzione di Ottobre dello stesso anno, fase finale che segnerà il crollo dell’Impero russo. Lo stesso Marinetti, a proposito delle connessioni fra fascismo e futurismo, dirà:
“Il fascismo nato dall’interventismo e dal futurismo si nutrì di principi futuristi”.
Stella Grillo