Mario Monicelli, i registi non prendono più l’autobus

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Di Federica De Candia

“Un vero uomo deve provarci e una vera donna deve resistere”. A dirlo era Assunta Patanè, Monica Vitti in “Una ragazza con la pistola“. Non era la prima volta che Mario Monicelli trasformava gli attori drammatici in comici. Vittorio Gassman, negli anni ’50, divenne ‘Peppe er Pantera‘ de “I Soliti ignoti“; e la Vitti, con i capelli neri, graffiava con l’accento siciliano. Con la sua voce dai toni drammatici prestata alla satira, da musa di ‘incomunicabilità’ di Michelangelo Antonioni, divenne caricatura. Aveva ragione Mario. “Il riso è segno di maturità“, diceva.

Un berretto di lana sui capelli bianchi, e maglioni colorati. Eravamo abituati a vederlo così. Giovane dentro, se non nel suo aspetto esteriore. Da buon toscano, era capace di sarcasmo e slanci euforici. Senza dimenticare quel fondo di serietà che lo contraddistingue, nella vita e nelle opere. “Cosa c’è di più tragico di un quartetto di vecchi che si mascherano da giovani perché vicini alla morte?”. Così parlava del dramma di “Amici miei“, suo film del 1975, che aveva per soggetto le scorribande di uomini che affrontano la crisi di mezza età.

Monicelli, romano di Viareggio

I soliti ignoti, Mario Monicelli (1958) – Scena della pasta e ceci- da YouTube

Sembravano film con sole burle. Ma tra gli scherzi di Totò, Sordi e Fabrizi, c’era sempre una morale ed una critica. “Fai finta di allacciarti le scarpe e dai un’occhiata a quel lucchetto”, “Son senza lacci!”. Erano il vecchio ‘capannelle‘, ladruncolo romano, e i suoi soci di malaffare maestri d’effrazione, dal capolavoro de “I Soliti ignoti“. Un nuovo genere chiamato “commedia all’italiana”. “Senza questi elementi, fame, morte, malattia e miseria, non potremmo far ridere in Italia“, ne era convinto Mario Monicelli.

Su “La grande guerra“, Tiberio Murgia nel ruolo del soldato Nicotra, disse: “Per la fatica delle scene è stato come fare il militare per davvero“. Gli eroi per forza Gassman e Sordi, in realtà erano soldati fifoni e lavativi; l’uomo comune e la codardia, il coraggio e la paura in contrapposizione. Dietro la macchina da presa Monicelli mette il suo tocco: “Bisogna rappresentare le cose come sono, facendo in modo che appaiano semplici. Far vedere al pubblico solo ciò che serve per capire, non di più, perché allora c’è il rischio che non veda più niente. Come faceva Chaplin che non aveva nessuna regia tecnica.” Preferendo il re della scena muta, a quei registi che caricano le immagini con effetti, colori, “basta che diano pugni allo stomaco del pubblico“, diceva.

Chi ride, ruba alla morte

L’armata Brancaleone” del 1966 era il film preferito di Monicelli. In un medioevo di ronzini e cavalieri arruffati, smonta la storia e i suoi fasti. Con le vicende in latino maccheronico di Vittorio Gassman, in Brancaleone da Norcia al grido di battaglia. Mentre, la Roma papalina d’inizio ‘800, ha le vesti del “Marchese del Grillo“. Onofrio, aristocratico tra amorazzi e scherzi colossali famosi in tutta la città, ha la voce e le galanterie di Alberto Sordi: “Quanno se scherza, bisogna ésse seri!“. Resterà eterno, insieme al suo perfetto sosia nel film, l’alcolizzato Gasperinoer carbonaro‘.

Modesto e non per finta. Duro e burbero solo d’aspetto. Monicelli disse: “La commedia all’italiana è finita, quando i registi hanno smesso di prendere l’autobus“. Abitava in via dei Serpenti a Roma, nel vecchio quartiere di artigiani e botteghe. Andava in giro ad osservare cose e persone, proprio come Steno, e con lui fu un colpo di fulmine, che iniziò un sodalizio lavorativo. La cronaca di prima pagina, un giorno titolava: ‘Il regista viareggino si è ucciso lanciandosi dal quinto piano del reparto urologia del San Giovanni‘. Una sera, senza motivare il gesto, a 95 anni, avvenne nello sconcerto di tutti. L’aveva già fatto Mario: una volta, era scappato dal reparto dove si trovava ricoverato dopo un incidente, prese l’autobus e tornò a casa da solo con ancora l’ago in vena. Ci aveva abituato a finali diversi, quelli dei suoi film. Ma, pur sempre, conclusioni nette, e compiute. Di qualcosa si dovrà pur morire. Ma, come per il ‘sor Marchese‘, anche per Monicelli, ci sembra di sentire, soltanto, quel grido dal balcone fino ai popolani, “S’è addormitooo“.

Federica De Candia per MMI e Metropolitan Cinema.