Matteo Garrone, la favola in un cinema brutale

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Di Redazione Metropolitan

C’è stato un momento, qualche anno fa, in cui la carriera di Matteo Garrone andava di pari passo con quella di Paolo Sorrentino. A un grande film del primo, corrispondeva un grande titolo dell’altro, sempre nello stesso momento, spesso negli stessi festival, come Cannes. Due binari paralleli del cinema d’autore contemporaneo italiano: il realismo spietato contro il surrealismo delle forme e dei concetti. Eppure nel cinema di Matteo Garrone c’è sempre stato un elemento di irrealtà, una componente favolistica oscura inseguita continuamente.

Il racconto dei racconti e Pinocchio, favole esplicite di Matteo Garrone

Il racconto dei racconti, Matteo Garrone - Ph. credit: IMDb.com
Il racconto dei racconti, Matteo Garrone – Ph. credit: IMDb.com

Il racconto dei racconti (2015) è forse il lavoro più complesso e ampio messo a punto da Matteo Garrone, sia in termini di messa in scena, sia in rapporto alla natura e al numero di interpreti. Non si accontenta più di storie di periferia, ma va a inseguire le storie ancestrali, di draghi, incantesimi e castelli. Non scava più nel dialetto, ma va a ricercare i volti e le voci di attori internazionali, da Salma Hayek a Vincent Cassel.

Tutto acquista una parvenza di universalità che è tipica della favola, in grado di rivolgersi a ogni tipo di pubblico nei suoi vari livelli di astrazione. Nonostante sia una storia tratta comunque dalle novelle popolari di Basile, Lo cunto de li cunti.

Pinocchio, Matteo Garrone - Ph. credit: IMDb.com
Pinocchio, Matteo Garrone – Ph. credit: IMDb.com

L’apice del percorso di Matteo Garrone dentro le favole oscure naturalmente si raggiunge con Pinocchio (2019). Ogni bambino, crescendo, prima o poi si scontra con le impressioni e gli insegnamenti della storia di Collodi. Una storia decisamente ottocentesca, che punisce la disobbedienza in maniera atroce, anziché conferirle un valore sociale. Un incubo, forse, con cui ognuno di noi fa i conti, che abbia letto il romanzo di Collodi o solo guardato il cartone Disney e i vari adattamenti cinematografici. Non poteva che essere questa la favola conclusiva (probabilmente) di un percorso dentro l’anima e il folkore italiani.

Sentori nascosti del mondo favolistico

Una delle analisi più taglienti della società da parte di Matteo Garrone si trova nel film Reality. Un mondo di provincia, sciatto, privo di qualsiasi educazione alla bellezza, in continua ricerca solo della visibilità. Il reality show attorno a cui ruota è anche la realtà, con tutte le sue brutture, della periferia italiana abbandonata, in termini parossistici ovviamente. Eppure anche in questo film si nasconde un lampo inaspettato di follia o se vogliamo di favola: un grillo parlante che inizia a tormentare l’equilibrio mentale del protagonista.

Dogman, Matteo Garrone - Ph. credit: IMDb.com
Dogman, Matteo Garrone – Ph. credit: IMDb.com

Allo stesso modo, del tutto inaspettato, in Dogman aleggia continuamente un sentore di irrealtà e di incubo. La realtà del canaro è straordinariamente brutale e vivida, ma al contempo trasfigura i corpi. Simone (Edoardo Pesce), per esempio, più che un uomo sembra un orco, una bestia senz’anima. Tutto ciò che accade in quella landa desolata fra le case è come se accadesse in un universo parallelo, in cui non arriva nemmeno la stessa luce, lo stesso sole della realtà (visibile in scene più leggere, come quelle con la figlia Alida).

Senza dubbio il cinema di Matteo Garrone è un cinema che risucchia il mondo da cui proviene e vi si tuffa, anche grazie al suo stilema riconoscibilissimo della camera a mano. È un cinema, tuttavia, che mostra ossessioni e maschere molto più profonde, molto più inquietanti e accattivanti di quel che si potrebbe pensare.

Articolo di Valeria Verbaro

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