Michelangelo Antonioni, tra interiorità, incomunicabilità e innovazione

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Di Stefano Delle Cave

108 anni fa nasceva il grande regista Michelangelo Antonioni
Michelangelo Antonioni, fonte moma.org

108 anni fa nasceva Michelangelo Antonioni. È stato uno dei grandi registi cinematografici italiani ed internazionali che ci ha regalato indimenticabili capolavori. Grazie ad essi ha conquistato tantissimi premi come il Leone d’oro, la Palma d’oro e un Oscar onorario nel 1995. È curiosamente morto lo stesso giorno di un altro grande regista del cinema mondiale come Ingmar Bergman.

Antonioni e l’incomunicabilità

L’esistenzialismo, l’interiorità e il rifiuto precocissimo di una narrazione tradizionale sono elementi che ritroviamo perfettamente nel primo cinema di Michelangelo Antonioni. Anzi i primi tre film che fecero conoscere a livello internazionale sono la cosiddetta trilogia dell’incomunicabilità dove l’esistenzialismo la fa da padrone. Infatti per film come “Il grido” e “L’avventura” fu coniata per il regista ferrarese l’espressione “neorealismo interiore”. Sono film che a partire da “Cronaca di un amore” segnano infatti una stagione nuova per il cinema italiano e internazionale.

Si tratta di pellicole dove già inizia, basti pensare ai paesaggi industriali di “Il grido“, un rapporto con lo sfondo che tende via a nasconderci i personaggi indugiando laddove essi se ne sono andati. Con il successo “Deserto Rosso“, Leone d’oro a Venezia, l’amore per il paesaggio segna l’inizio di una sperimentazione altamente fotografica di Antonioni in particolar modo sul colore.

Intervista ad Antonioni

I film americani

Michelangelo Antonioni continuna il suo sperimentalismo basato su un conflitto tra il visibile e la ricerca di verità nascoste anche nel grande periodo americano. Basti pensare ad un altro capolavoro come “Blow up” nel momento dell‘immagine fotografica che s’ingrandisce ma che non svela l’esistenza meno o del cadavere. I personaggi dunque cominciano inesorabilmente a scomparire come nel caso di un altro capolavoro come “Professione reporter”.

In questo film andando quasi oltre le leggi naturali la macchina da presa abbandona il personaggio lasciando fuori campo la sua esecuzione per concentrarsi su un misero spazio. È l’espressione puramente cinematografica di un autore che abbandona i canoni del montaggio e della narrazione tradizionale per dedicarsi ad un piano sequenza spinto che si conclude la desertificazione dell’inquadratura. Un fenomeno che partiva da molto lontano. Basti pensare che in “L’avventura” la macchina da presa già si allontana talvolta dai personaggi che diventano indistinti nel bellissimo sfondo naturale.