“Mickey occhi blu”, commedia dove Hugh Grant incontra la mafia per amore

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Di Redazione Metropolitan

Niente a che fare con una romcom con un principe azzurro biondo e dagli occhi blu. Il titolo della commedia, “Michey occhi blu”, viene infatti dal ridicolo soprannome che Hugh Grant si conquista quasi per errore avvicinandosi alla criminalità organizzata di New York.

Michael Felgate, il Mickey del titolo, (Hugh Grant) è un banditore d’aste di successo che si trova incastrato in una situazione surreale, plausibile solo nelle più americane sceneggiature cinematografiche.

Il soggetto alla base del film vede infatti Michael avvicinarsi pericolosamente alla mafia italiana e alle sue attività criminali, dopo il fidanzamento con Gina Vitale (Jeanne Tripplehorn), figlia di una storica figura del mondo criminale locale, il Signor Vitale (James Caan) .

Hugh Grant e James Caan in una scena di "Mickey occhi blu", Credits: Mubi
Hugh Grant e James Caan in una scena di “Mickey occhi blu”, Credits: Mubi

La trama della “quasi-romcom” a sfondo mafioso

Dopo la proposta di matrimonio, Gina rivela a Mickey che il padre è un capomafioso che storicamente ha sempre cercato di fagocitare i suoi fidanziati nelle proprie attività. Quando Michael le promette “Possiamo riuscirci insieme!“, la ragazza cede e decide di dare a questa relazione una possibilità.

Ma in pochissimo tempo Mickey si trova ad essere considerato come uno di famiglia dai parenti mafiosi di Gina, che invadono il suo spazio professionale per riciclare del denaro sporco. Questo fin quando un improvviso cambio di rotta da parte del banditore d’asta finirà per mandare all’aria il precario equilibrio del rapporto tra Michael e Gina e non solo.

Una scena da "Michey Occhi Blu", Credits: Sky
Una scena da “Michey Occhi Blu”, Credits: Sky

Una visione edulcorata della mafia per “Little Big Mickey Occhi Blu”

La rappresentazione della criminalità organizzata nella pellicola di Kelly Makin segue lo spirito leggero e comico del film. Il pubblico, sembra quasi superfluo dirlo, non troverà una descrizione realistica del mondo della mafia italiana a New York.

Si pensi ad esempio alle torture a cui si sottopongono i debitori, che non vanno oltre le corse sul tapisrulant o al fatto che le persone incastrate negli affari dei grandi boss, sembrano finirci per semplice mancanza di spina dorsale davanti alle doti persuasive di personaggi subdoli. Nessun’ombra della tipica, aggressiva violenza di questo tipo di organizzazioni.

Questo accade anche al protagonista Michael, che sembra lasciarsi vivere anche quando gli avvenimenti degenerano e i risvolti dell’invadenza della famiglia di Gina nella sua vita privata e professionale diventano moralmente dubbi o persino macabri.

Debora Troiani

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