Cultura

Mokadelic @Monk Roma (Live report)

Il concerto metafisico dei Mokadelic al Monk Roma: la sintesi trascendentale tra l’immagine e l’acustica, l’avanguardia della musica.

Li abbiamo visti poco prima dell’inizio del concerto, sciolti e silenziosi, con un amaro in mano e una buona dose di caos calmo: Luca Novelli, piano e chitarra, Alessio Mecozzi e Maurizio Mazzenga alle chitarre, Alberto Broccatelli la batteria e Cristian Marras il basso.

E dopo poco, prima delle 23.00, con il Monk Roma già al pieno, la calma è diventata caos. Per un’ora piena tra suggestione ed energia.

E’ stato difficile guardare in faccia i Mokadelic, nascosti dietro un telo di immagini e proiezioni veloci, tra la natura e il sogno. Qualcuno dice che il segreto del successo è non farsi vedere. E a vederlo bene, questo concerto, eri solo tu a scegliere cosa guardare.

Mokadelic
(photo: Valerio Sablone)

Paesaggi musicali, tra Post-Rock, Elettronico e Psichedelico, nella fusione dei più grandi capolavori del gruppo romano: il risultato di un’evoluzione sonora che ha spinto i Mokadelic sull’onda di un esperimento musicale sulle scie dell’esistenzialismo.

Probabilmente la mia fatica di descrivere l’ineffabile è la stessa che, durante il concerto, accomunava una platea di giovani (ma non solo) ad occhi chiusi per leggere la sensazione delle loro musiche. Li scoprivi, uno ad uno, a scrutare il film di immagini sconnese (o forse no) che passavano in fretta sul telo che copriva gli artisti.

Photo: Valerio Sablone

Un fiore che si apre, un treno che torna indietro, un gabbiano che sfiora il mare: mentre si sfioravano i brani di  Chronicles, l’ultimo album (2016) per Goodfellas Records, Hopi, del 2006 che diventa colonna sonora del film Come Dio comanda (regia di Gabriele Salvatores) e il più grande successo di Doomed to live, per Gomorra la serie.

E i più grandi affezionati di Gomorra hanno aspettato il momento di quel brano per sorridere alle immagini di Ciro e Don Pietro, nell’adrenalina di un sound che correva al ritmo della loro suggestione.

Non una parola, non un volto nitido da fotografare: il vero genio dei Mokadelic è stato proprio “sparire”. Un viaggio in equilibrio tra minimalismo e psichedelia, anime che abitano gli scenari sonori della band.

Mokadelic
(photo: Valerio Sablone)

Un mondo visionario, dove abitano anche Mogway, Sigur Ros, Explotion in the sky e dove anche i Mokadelic giocano con l’impercettibile, gettando il pubblico nella bocca del sogno dove persino la musica detta poesie.

Se avessi davvero dovuto raccontare questo concerto, vi avrei parlato di Eros. Che non è altro che l’Altrove. Ecco ieri sera, al concerto dei Mokadelic, dove siamo stati.

Ci sono concerti che diventano esperienze, i Mokadelic ci portano in un posto dove non siamo stati. Perchè, infatti, ce lo lasciano immaginare.

I Mokadelic hanno lasciato che la fotografia descrivesse la loro musica, senza le parole. E ora che a me tocca, invece, usarle per descriverlo: il gioco si fa duro. Probabilmente dovrei continuare, ma le parole sono reali e questo concerto è stato qualcosa di più.

D’altronde “L’arte esiste perché la realtà non è reale”( J. B. Ballard).

Rossella Papa

 

 

 

 

 

 

 

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