Mous Lamrabat: l’opera del fotografo in mostra ad Amsterdam

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Di Redazione Metropolitan

L’artista del colore acceso e sgargiante, dei fondali netti di una tinta unita che sa di infinito, del velo che nasconde e forma l’identità: Mous Lamrabat, fotografo belga-marocchino di fama mondiale in mostra fino al 18 ottobre al FOAM di Amsterdam. “Sono ossessionato dalla decostruzione del normale”, afferma il fotografo 38enne a cui è dedicata la mostra del Fotografiemuseum di Amsterdam, le cui foto sono visioni celesti di impossibilità e identità, laboratorio del soggetto come assoluto protagonista della scena surreale e metafisica in cui è immerso. E insieme, il racconto di identità e simbologia alienante e capitalista, dalla mascherina McDonald’s al sincretismo di culture. Un viaggio nel Mousganistan, l’utopia artistica e saturata di Lamrabat.

Mousganistan, il luogo non-luogo della visione, tra il mistico e il consu-mistico: la mostra al FOAM è un viaggio interattivo nella mente di Mous Lamrabat

Una mia immagine è un insieme di quello che il mondo non vede, in cui nessuna ‘normalità’ è migliore dell’altra; un universo in cui l’ego non esiste“. E’ per questo che i suoi fondali, attimi di quell’universo inesistente (utopia, letteralmente “non-luogo”) che è il Mousganistan, sono netti, definiti nell’infinitezza della tinta unita. La voce del Mousganistan, parafrasando la sua opera, sono le singolarità, le personalità che non impongono il proprio Io ma lo nascondono dietro il velo. Poco importa che sia l’hijab della tradizione o il burqa firmato Chanel: l’identità è dettata da una presenza centralissima che non ha nulla a che fare con il volto.

L’opera di Mous Lamrabat è densa della sua visione culturale e artistica: Made in Mousganistan è la mostra che tenta di raccontare il fotografo come un viaggio nella mente, “un luogo immaginario dove creare, un posto sicuro in cui le idee grezze e personali non sono infette dal mondo che mi circonda”. Luogo sicuro in cui si entra in punta di piedi? Non proprio: l’opera interagisce con lo spettatore, e questo con l’opera in un dialogo tra essenze diverse, viventi e non viventi. In mezzo all’interlocuzione coll’arte, la decostruzione messa in atto da Lamrabat fa il suo corso magicamente: la busta Nike diventa copricapo tribale, la sinuosità del tessuto tradizionale si fa produzione in serie, antico e postmoderno danzano in uno scambio meraviglioso che spingerà i confini del senso estetico, fino al Mousganistan.

Alberto Alessi

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