«Stessa storia, stesso posto, stesso bar». Ma anche stessa musica, almeno per i trentenni o giù di lì. Chiunque abbia già vissuto il fatidico e vagamente traumatico ingresso negli -enta lo sa bene: la vita scorre, ma la si argina continuando ad attaccarsi a brani già noti. Miti dell’adolescenza, girl band e boy band (che magari si sono separate diversi lustri fa, ma poco importa), popstar di fama mondiale o cantautori con cui si è cresciuti. Un bagaglio di memoria che proviene dal passato, ma che influenza il presente dei “giovani adulti”, condizionando la loro apertura mentale nei confronti del mercato discografico contemporaneo.
Perché, più si cresce, più si tende a “rifiutare” i cantanti sulla cresta dell’onda, in favore di vecchie glorie o dischi consumati? C’è una vera ragione, oppure la sorte di ognuno di noi è trasformarci lentamente, ma in modo inesorabile, nei nostri genitori? Siamo tutti destinati ad esclamare, prima o poi, «Eh, ma ai miei tempi…!»?
La musica dei trentenni: lo studio di Spotify
Ajay Kalya, informatico americano che collabora con Spotify, ha cercato di rispondere a queste domande. Secondo il ricercatore, infatti, il cosiddetto “open-earedness”, ovvero la capacità di “tenere le orecchie aperte”, scoprendo cose nuove, si perde con gli anni. I teenagers sono più predisposti ad esplorare generi diversi e a sperimentare tra suoni e realtà differenti, mentre le generazioni precedenti restano ferme nelle loro convinzioni. Per il tecnico, tuttavia, «non si tratta solo di essere prevenuti, ma è anche una questione di percezione». Innanzitutto, occorre fare una divisione tra i sessi: gli uomini perdono drasticamente interesse subito dopo i trenta, mentre le donne “resistono” fino ai cinquant’anni.
A supportare la teoria di Kalya, statistiche e osservazioni portate avanti personalmente sul luogo di lavoro. All’origine di questa “paralisi musicale”, ci sarebbe la biologia: invecchiando, il cervello fatica a modificarsi e a immagazinare nuove informazioni; pur essendo un organo plastico, comincia a rallentare. Le stesse piattaforme digitali, inoltre, non sono d’aiuto. Il famoso “algoritmo” tende a riproporre all’utente pezzi e artisti che conosce e apprezza, o qualcosa di molto simile a ciò che solitamente ascolta.
La tesi di Sami Coll
Studi di sociologia e neuroscienza hanno riassunto le cause principali di questo fenomeno in tre macroaree:
- maturazione psicosociale,
- evoluzione del gusto legato a stimoli noti che rilasciano dopamina,
- mancanza di tempo da dedicare alla scoperta di nuova musica
Sami Coll, ricercatore dell’Università di Ginevra, ha affermato: «È la traiettoria sociale che spinge le persone a essere bloccati o meno in una bolla specifica. Se si cambia l’ambiente sociale, l’individuo si sentirà obbligato (senza accorgersene) a modificare i suoi gusti in conformità alle nuove frequentazioni. Se ci si stabilizza (lavoro, amicizie, rapporti sociali), allora le abitudini e i gusti resteranno gli stessi. Il mondo va avanti, le persone no. Non è un fatto biologico, però a volte un evento inatteso nella routine porta la gente a scoprire un territorio sconosciuto: chi aveva inchiodato la sua playlist al 2004 potrebbe scoprire di amare i gruppi più recenti.».
Quando si è in una fase di transizione, come può essere il periodo delle superiori, è più facile incontrare diverse tipologie di persone, che influenzano il nostro stile e i nostri gusti, anche musicali. Una volta raggiunta una certa stabilità, familiare e relazionale, invece, ci si “rilassa”. La propria personalità è solida e costruita, e non si sente il bisogno di cambiare alcunché. Un pensiero confortante, certo, ma anche molto limitante.
Nostalgia canaglia
Un altro fattore che non va ignorato è sicuramente quello nostalgico. La musica racchiude in sé emozioni e sensazioni, che ricolleghiamo, consciamente e non, a dei ricordi. Se abbiamo voglia di “rispolverare” l’infanzia o la beata gioventù, lo facciamo anche attraverso quelle canzoni che sono state la colonna sonora dei nostri momenti salienti. Per questo i trentenni di oggi sperano nella reunion degli Oasis, si esaltano per il nuovo singolo dei Baustelle o impazziscono per il ritorno di Paola & Chiara al Festival di Sanremo. Ci si aggrappa all’illusione di essere ancora quei ragazzotti chinati sul dizionario di greco, con Baby…One More Time in sottofondo.
Si chiede ancora ad Ambra di cantare T’appartengo, si piange per Cesare Cremonini che esegue i successi dei Lunapop durante i suoi concerti, si riempie il Circo Massimo per intonare Sei un mito e Come mai insieme a Max Pezzali. L’età adulta è complessa e carica di oneri, grattacapi e preoccupazioni. Il lavoro c’è, ma magari è precario, si è genitori e si ha paura di sbagliare, si corre da una parte della città per portare a termine la catena di montaggio sveglia-lavoro-altro lavoro-palestra-hobby-lavatrice-cena-impostare la sveglia. Degli anni spensierati è rimasto ben poco, e un certo tipo di musica diventa un appiglio irrinunciabile per evadere dai doveri e dalla frenesia. Ritrovarsi a ballare la coreografia di una hit delle Spice Girls, ancora ben salda nella nostra mente, ha un potere salvifico e quasi catartico.
È un peccato restare all’oscuro e “perdersi” tante novità interessanti, e sarebbe saggio cercare di aggiornarsi e imparare ad apprezzare quello che il presente ha da offrire. Si potrebbe rimanere positivamente da “questi giovani d’oggi”. A volte, però, tutto quello che si desidera è sfuggire per un istante al tran-tran quotidiano e tornare indietro per qualche minuto a «Gli anni del “Tranquillo, siam qui noi, siamo qui noi”».
Federica Checchia
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