3 febbraio 1986: la data ufficiale di fondazione della Pixar, marchio di fabbrica di capolavori come Toy story, Cars, Alla ricerca di Nemo, Gli Incredibili, Up, Coco, Inside Out e molti altri lungometraggi che sono ritenuti i maggiori successi dell’animazione digitale.
La fama non è dovuta soltanto alla qualità dei prodotti, ma al fatto che la Pixar Animation Studios detiene un primato: essere stata la prima casa cinematografica capace di sviluppare un intero lungometraggio in totale computer grafica. Un traguardo che ha cambiato in maniera significativa il mondo del cinema. La fondazione della Pixar, che ha la sua base a Emeryville in California, si accompagna a una storia parecchio travagliata che ha incrociato la caparbia di un investitore come Steve Jobs.
Quando ha inizio la storia della Pixar?
Siamo negli anni ’70. Un gruppo di ricercatori universitari riflette sulla potenza di calcolo necessaria per realizzare un film animato e ripone le proprie speranze sulla legge di Moore. The Movie: così denominano il progetto. Intanto, arriva un software che concede ai computer di creare immagini bidimensionali e tridimensionali, dunque si comincia a riflettere su come trasformare questi oggetti nei fotogrammi di un film. Ed Catmull, Alvy Ray Smith, David DiFrancesco e Malcolm Blanchard vengono assunti dal proprietario della NYIT: nasce il cortometraggio Sunstone (di appena 22 minuti), con l’unico limite d’aver dovuto impiegare un ingente numero di disegnatori per realizzare a mano ogni singolo fotogramma.
È il direttore di Lucasfilm a notare il corto, decidendo di assumere i quattro per dare origine alla Computer Division, con il compito di sviluppare dei software di messa a punto in ausilio della grafica computerizzata. Esordiscono con una sequenza di un minuto in Star Trek II: L’ira di Khan (1982) e con l’ologramma della Morte Nera in Return of the Jedi (1983), sesto capitolo di Star Wars. Succede però che a causa del divorzio di George e Marcia Lucas la Computer Division si disgrega, quindi Catmull e Smith decidono di creare un’azienda. Ma quale può essere la soluzione per garantire lavoro a quaranta persone?
La scelta cade sull’hardware. Possiedono un prototipo di computer da loro realizzato (il Pixar Image Computer), dunque cominciano vendendo questo mentre cercano una partnership strategica con una grande azienda. Dopo otto rifiuti e un accordo fallito, è qui che subentra Steve Jobs, che con 10 milioni di dollari diventa il venture capitalist perfetto per la Pixar: non acquistandola, ma finanziando una società derivata che era parzialmente di proprietà dei dipendenti.
Dalla fondazione al primo lungometraggio
Il 3 febbraio 1986, a San Rafael, nasce ufficialmente la Pixar. Nei primi cinque anni conquista l’uscita di cinque cortometraggi: Luxo Junior, Tin Toy (primo cortometraggio in CGI a vincere l’Oscar), Red’s Dream e Knick Knack. La prima svolta arriva con CAPS, il sistema realizzato per Disney e utilizzato per la prima volta in una scena de La sirenetta e poi per altri diciotto lungometraggi. Altro software di successo si rivela RenderMan, uno standard che presto si afferma come punto fermo di Hollywood.
Bisognava però distaccarsi dall’hardware e fare il salto di qualità. Le difficoltà finanziarie erano evidenti, e gli assegni da sottoscrivere costarono a Jobs più di 50 milioni di dollari. Il momento perfetto per realizzare il film arriva nel 1991, ed è proprio la Disney a finanziare l’impresa. Ecco che nasce Toy Story (1995), con l’apporto geniale del regista e sceneggiatore John Lasseter e da subito un enorme successo a livello mondiale. Con la sola promessa di questo film, inizia la più grande IPO dell’anno che vede la Disney acquistare la Pixar nel 2006 per 7 miliardi di dollari.
Pare che il nome “Pixar” sia stato scelto nel 1981, in unione dei due termini “pixer” (che doveva ricordare “pictures” in falso spagnolo) e “radar“. L’idea fu di Alvy Ray Smith e Loren Carpenter, durante la progettazione di un computer speciale alla Lucasfilm. Jacob Jacobsen è invece il designatore della lampada iconica del logo Pixar, che va a sostituirne la “i”, scelta tra i modelli dell’azienda norvegese Luxo nel 1937.
Ginevra Alibrio
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