Il film La stranezza di Roberto Andò è stato premiato lo scorso 20 giugno dal Direttivo dei Giornalisti Cinematografici con il “Nastro dell’anno”. Un riconoscimento che va oltre le candidature, e che viene assegnato ad un’opera che si è distinta per la sua eccellenza e per la novità che porta con sè.

La stranezza: comicità irresistibile ed elegante

la stranezza © sky tg24

Nella motivazione del Direttivo Nazionale dei Nastri d’Argento si legge:

La stranezza è un film che, giocando con intelligenza sui tasti dell’intrattenimento popolare e della cultura più alta, ha saputo aprire una nuova strada anche alla commedia, da sempre regina del box office, ma finalmente capace di conquistare il pubblico con la rilettura cinematografica di un metateatro squisitamente pirandelliano in cui irrompe con eleganza la spontaneità di una comicità irresistibile”.

La stranezza è il risultato del lavoro creativo e meraviglioso del regista Andò insieme agli sceneggiatori Massimo Gaudioso e Ugo Chiti; dei produttori Angelo Barbagallo (Bibi Film), Attilio De Razza (Tramp LTD) con Giampaolo Letta (Medusa) e con Paolo Del Brocco (Rai Cinema). Questi ultimi, in particolare, hanno dimostrato che le case cinematografiche concorrenti possono collaborare e lavorare l’una di fianco all’altra per far crescere il nostro cinema, come ha sottolineato la Presidente Nastri d’Argento Laura Delli Colli.

Ficarra-Picone-Servillo: trio a sorpresa

La sceneggiatura, impeccabile, è già in sè la pellicola, ma quel soffio vitale necessario per diventare film gli è stato donato da un trio, forse strano sulla carta, ma che si è armonizzato perfettamente davanti alla cinepresa. Salvo Ficarra, Valentino Picone e Toni Servillo, sorprendentemente, andando oltre qualsiasi immaginazione, con la loro bravura ci hanno trasportato oltre la dimensione della settima arte. Si è al cinema, è vero, ma sembra di essere a teatro o dentro una reale fantasia.

Il film è in grado di far viaggiare lo spettatore nel tempo e nello spazio. Si torna nel 1920 in Sicilia, terra di Luigi Pirandello e di Giovanni Verga, ma anche la stessa terra argillosa e assolata di Nofrio e Bastiano, i becchini di Gigenti, autori e attori teatrali per diletto, che stanno cercando di mettere in scena la commedia che hanno scritto: La trincea del rimorso, ovvero Cicciareddu e Pietruzzu. Ed è proprio in questo momento che i due si incontrano con l’autore Premio Nobel per la Letteratura, senza riconoscerlo.

Incontri di opposti, anche qui c’è La stranezza

Servillo interpreta Pirandello in una fase tormentata della sua vita. Silenzioso e schivo, è tormentato da “una stranezza” che ha in testa, in un momento in cui però “le idee non quagliano”. La febbre malinconica che lo domina, lo costringe a fare i conti con i fantasmi della sua vita personale e letteraria nello stesso momento. Ci sono visioni dal gusto noir che riguardano sua moglie, altre i personaggi teatrali che non riesce a collocare da nessuna parte,

Quando Pirandello conosce Bastiano e Nofrio, lo scontro di energie e pulsioni creative in quel momento agli antipodi, genera una scintilla che illumina le direzioni di entrambi. Ed è un po’ lo stesso bagliore sprigionato dall’incontro nella stessa opera del duo comico Ficarra e Picone con l’attorone Toni Servillo. I due comici sono riusciti brillantemente nell’interpretazione di ruoli tragicomici. Ancor più nelle parti drammatiche si prova per loro un sentimento che risponde ad una sola parola: affetto. D’altro canto, Servillo ci regala ancora una volta una performance attoriale eccellente. La fusione col personaggio è totale.

Pirandello, perduto nell’Olimpo dei grandi della letteratura, ritrova la chiarezza, la passione e la verità del teatro laddove tutto nasce e si rigenera ogni volta: su un palco di legno che scricchiola, tra gli attori “dilettanti, professionisti” di una compagnia amatoriale di un paesino della Sicilia. Qui vi è tutto: la storia e la psicologia umana; la letteratura e il metateatro; il teatro e il cinema; la commedia e il dramma; le lacrime trattenute e le risate sfuggite di bocca. L’arte che può superare, davvero, anche la morte.

Giorgia Lanciotti

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