“Non ci resta che il crimine”: la commedia di Bruno questa sera su Rai 2

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Di Redazione Metropolitan

“Non ci resta che il crimine” vede Sebastiano (Alessandro Gassmann), Moreno (Marco Giallini) e Giuseppe (Gianmarco Tognazzi), un terzetto di amici accomunati da difficoltà personali ed economiche. L’idea di Moreno è quella di organizzare un tour della Roma malavitosa ripercorrendo gesta e luoghi dei crimini della Banda della Magliana.

Inspiegabilmente, a casa di un varco spazio-temporale si ritrovano catapultati indietro nel tempo, nella Roma della vittoria dei Mondiali del 1982 e della dittatura criminale della banda di Renato de Pedis (Edoardo Leo). Nel tentativo di ritrovare la via di casa, i nostri si trovano coinvolti molto più direttamente di quanto vorrebbero nelle trame del boss della banda. E nei problemi della di lui amante Sabrina (Ilenia Pastorello)…

“Non ci resta che il crimine”: la comicità secondo Massimiliano Bruno

E’ senza dubbio ammirevole l’opera di ricerca che, sin dal suo primo lavoro, Massimiliano Bruno (l’indimenticato Nando Martellone del cult “Boris”) fa intorno al polveroso sacro totem della tradizione italiana. Fuori dagli schemi seriali della comicità televisiva, dai tormentoni un tanto al chilo e dalle crisi generazionali, sin da “Gli ultimi saranno ultimi” la sua cifra di base è sempre stata quella del ricorso al riferimento storico della tragicommedia, alla commistione di generi, alla risata de panza senza essere necessariamente volgare. Non fa differenza questa “Non ci resta che il crimine”. Sin dal titolo citazionista tradisce il twist iniziale che da il via all’intera vicenda, quello del viaggio nel tempo.

Tutto il resto poco ha a che vedere con il capolavoro della coppia Troisi/Benigni, e gioca (un po’ troppo) sul frullato di generi della consuetudine italica. Mischiando surrealtà, commedia, gangster movie e modellando alla bisogna le regole di ognuno.  Il modello di riferimento lo svela il cast di sceneggiatori. Al fianco dello stesso Bruno e ad Andrea Bassi troviamo infatti  la coppia alla base dell’acclamato “Lo chiamavano Jeeg RobotNicola Guaglianone/Menotti. Ma se nella pellicola di Gabriele Mainetti il gioco è quello della rappresentazione funzionale di una brillante idea di base e la traduzione in italiano delle formule comics dei colossi d’oltreoceano, qui gli ingredienti sembrano davvero troppi.

Troppe strade, nessuna strada

Il tentativo di equilibrare tutto quanto messo in campo, di creare una sintesi fluente ed efficace, funziona solo in parte e sempre meno con lo scorrere della pellicola. Si ridacchia, soprattutto per merito del grandissimo mestiere di Marco Giallini e di un parterre di efficaci caratteristi. Ma l’impressione è che nel non avere una direzione precisa “Non ci resta che il crimine” non ne prenda nessuna. E il rischio del caotico pastiche dove ci sta di tutto un po’ è sempre dietro l’angolo. Il film prende progressivamente la strada di un’iperbole farsesca affondata in un citazionismo pop d’antant. Tra split screen, rapine in banca travestiti da Kiss, Pablito Rossi e una sceneggiatura sempre più debole e forzosa costruita più sul gioco all’eccesso che alla cura di una base comica reale.

Lascia così tutto sostanzialmente in mano al gioco degli opposti tra il bravo Edoardo Leo e il trio di cialtroni protagonisti, ma è un po’ poco. Il finale aperto apre la strada a quello che sarà il sequel del film, “Ritorno al crimine” del 2021. E al terzo capitolo “C’era una volta il crimine” a breve nelle sale italiane. La conferma, forse, della scelta di subordinare l’efficacia narrativa immediata a un’idea di serializzazione francamente debole.

Andrea Avvenengo

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