L’Osteria del Palco, intervista all’autrice Francesca Amodio

Foto dell'autore

Di Redazione Metropolitan

Francesca Amodio è una scrittrice musicale freelance. Collabora con molte riviste e fa parte della giuria del Premio Tenco. In L’Osteria del PalcoStorie Grastromusicali di Musicisti On The Road, edito da Polaris, ha voluto coniugare le sue più grandi passioni: la musica, la cucina e il viaggio. La ricetta è quella di un libro/torta di compleanno per festeggiare i 25 anni del MEI, il Meeting delle Etichette Indipendenti, festival musicale che ogni anno a Faenza si fa portavoce di ideali di indipendenza e libertà, nella musica come nella vita.

Il libro raccoglie 25 racconti di altrettanti musicisti che svelano il proprio rapporto con il cibo, soprattutto mentre sono in viaggio. Dagli Zen Circus a Il Muro del Canto, da Teresa De Sio a Gnut ai La Crus, da Riccardo Sinigallia a Paolo Benvegnù e tanti altri. Ogni racconto è introdotto da un “ritratto culinario” tratteggiato dall’autrice. Metropolitan Music ha intervistato Francesca per farsi raccontare L’Osteria del Palco e approfondire spunti di riflessione sulla forte connessione tra cibo, musica e viaggio e sul difficile periodo che il settore musicale sta affrontando.

La copertina di L'Osteria del Palco - Ph: Polaris Editore
La copertina di L’Osteria del Palco – Ph: Polaris Editore

L’Osteria del Palco: il musicista su e giù dal palco

In L’Osteria del Palco hai associato ad ognuno degli artisti presenti un piatto. Che piatti sono Omar Pedrini, che ne ha scritto una entusiasta prefazione, e il MEI, al quale il lavoro è dedicato?

Omar lo assocerei ad un’anatra all’arancia, piatto italianissimo, anche se alcuni pensano che non lo sia. L’anatra all’arancia viene servita in questo impasto caramellato buonissimo e si presenta alla vista molto duro, rude, mentre all’interno la carne è tenerissima. Omar è così: quando lo vedi sul palco rimani estasiato dal suo carisma da rocker duro e puro. Poi scende dal palco e diventa un agnellino, una delle persone più dolci che io abbia incontrato nella mia vita. Il MEI direi che è una pizza mare e monti. Ci fa capire che una commistione seria e ragionata è possibile. La musica nel MEI è un valore aggiunto, una scusa per esportare la libertà di espressione e lo spirito di aggregazione di un festival che unisce mondi diversi. Il Mei da 25 anni concilia l’apparentemente inconciliabile, quindi il mare e i monti.

I racconti di L’Osteria del Palco riconoscono nel cibo un’esperienza che riporta all’intimità degli affetti e citano realtà a conduzione familiare. Come ti spieghi le scelte di questi luoghi del cuore?

Per il musicista la dinamica del tour è la realizzazione artistica più completa e gratificante.  D’altra parte, il momento del tour è quello in cui tu musicista vai in giro con la famiglia artistica che ti sei scelto però lasci a casa quella “di sangue”. Secondo me è un po’ questo il motivo per cui tutti e 25 gli intervistati hanno parlato di un posto in cui si sono sentiti a casa. Penso che, dopo quello dello stare sul palco, per un musicista, il momento della condivisione di un pasto con la band venga immediatamente dopo, in quanto molto forte e sentito. È cercare casa dove casa in quel momento non c’è.

Gli Zen Circus - Ph: zencircus.it
Gli Zen Circus – Ph: zencircus.it

La pandemia e i suoi effetti sulla musica

A quale piatto ti fa pensare l’attuale stato del settore musicale in Italia?

Dovrei pensare ad un piatto molto triste, ma io da grande mangiatrice faccio fatica ad associare la tristezza ad un piatto. Però posso associare un piatto ad un momento triste. Penso a quando da piccola stavo male e mia nonna mi preparava il brodo di carne. Il brodo ricopre tutto, è una sorta di mare magnum, i vari ingredienti si svelano pian piano. Mi fa pensare all’attuale situazione perché, senza addentrarsi troppo in ambito politico, è abbastanza noto che siano stati fatti “figli e figliastri”. Tornando al piatto: si è fatto questo brodo, dentro ci si è messo un po’ di tutto, pensando che galleggiassero tutti allo stesso modo e invece non è stato così. I lavoratori dello spettacolo, e in particolare quelli della musica, sono coloro che ne stanno risentendo di più, insieme alle loro famiglie.

Gli ingredienti basilari di L’Osteria del Palco sono la musica, la cucina e il viaggio. La fortissima battuta d’arresto subita, in particolare, dal terzo quanto si ripercuote sugli altri due aspetti?

Tantissimo. Il viaggio è continua fonte di ispirazione e di quì il grave deficit attualmente per chi scrive musica. Joseph Conrad diceva: “come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra in realtà sto lavorando?” Si può viaggiare anche con la fantasia stando a un davanzale ma è chiaro che il viaggio fisico è un’altra cosa, è un incontro di culture dal quale deriva un forte senso del rispetto, di umiltà e il riconoscimento dei propri limiti. Personalmente, il viaggio è sicuramente quello che a me manca di più adesso. Una condizione di movimento che fa sì che uno possa tornare nella stasi sempre cambiato, però.

Il logo per i 25 anni del MEI - Ph: meiweb.it
Il logo per i 25 anni del MEI – Ph: meiweb.it

Il cibo come legame identitario e testimone di pezzi di vita

In Italia la cucina è “sacra”. La dieta mediterranea è la più ricca al mondo. C’è anche una grande commistione di culture e suoni diversissimi fra loro. Pensi che un libro come L’Osteria del Palco sarebbe stato possibile in un altro paese?

Da grande viaggiatrice so che di paesi che hanno fatto della varietà e della contaminazione un vanto ce ne sono tanti. Penso al Portogallo, ad esempio, con la sua Lisbona, che associo all’immagine di una grande dea della fertilità con le braccia grandi che accoglie tutti. Ma sono molto contenta in realtà che il libro sia uscito in Italia, che ha la grande particolarità di essere formata da tante regioni e tanti popoli diversi che però sono uno solo. Siamo tutti in questo grande recinto che ci permette di muoverci attraverso la penisola in una maniera fortemente identitaria che ci unisce, nonostante tutte le diversità. Il cibo è qualcosa che ci lega molto e che ci contraddistingue. Dai 25 racconti si evince un forte senso della comunità e della convivialità, l’eliminazione di barriere e luoghi comuni. Penso che questo sia un libro che testimonia il legame forte e identitario che abbiamo in Italia.

I Management affermano: “cos’è una ricetta senza storia? Niente.” La sensibilità e le esperienze personali di ognuno di noi possono influire anche sulla percezione di un’esperienza gastronomica?

Certo. Quasi mai ci capita di sentire di qualcuno affezionato a un tramezzino. Questo perché è cibo che rimanda a un’idea di pranzo molto veloce, incastrato tra impegni e responsabilità, dunque poco goduto, poco sentito. Diversamente, ascoltiamo molti racconti legati a parmigiane di melanzane o lasagne. Uno dei ricordi di bambina che ho è la lasagna della domenica, e penso che sia comune al 90% della popolazione italiana. La lasagna è un po’ il sinonimo della messa a tavola della domenica, giorno della distensione dei nervi, del riposo. Ogni piatto rimanda a un pezzo di vita. C’è una grande connessione tra la psicologia e la psicologia del cibo.

Il Muro del Canto - Ph: i2.wp.com
Il Muro del Canto – Ph: i2.wp.com

La scelta del silenzio durante il lockdown

Gli artisti presenti in L’Osteria del Palco si sono riconosciuti nei tuoi “ritratti culinari” o qualcuno ne è rimasto sorpreso?

C’è un episodio divertente riferito a Jacopo dei The Bastard Sons of Dioniso. Io ho paragonato i Bastard ad una polenta che è sempre sinonimo di grandi tavolate, di condivisione, con una forte identità nordica. Jacopo mi ha fatto molto ridere perché, leggendo l’introduzione di “primo acchito”, ha pensato che gli avessi dato dei “polentoni”, un po’ come un insulto, quindi inizialmente è rimasto un po’ pietrificato. Poi chiaramente si è fatto una risata e, anzi, ha detto di essere rimasto contento in quanto ha scoperto questa sfumatura della polenta a livello antropologico/psicologico alla quale non aveva pensato.

Cucinare e fare musica sono due atti creativi per definizione. Eppure, durante il lockdown, alcuni musicisti hanno dichiarato, invece, di aver riscontrato difficoltà sia tecniche che di ispirazione. Secondo te perché?

Vado un po’ forse contro corrente in questo: tanto di cappello a chi ha fatto dirette social per sopperire alla mancanza di concerti, perché sono state anche di sollievo per il pubblico e per coloro stessi che si sono prestati. Ma comprendo anche quelli che non si sono sentiti obbligati a far di questo tempo un terreno fertile per fare qualcosa di creativo. La stasi determinata da questa pandemia è stata un’imposizione. Trovo giusto che alcuni musicisti non abbiano voluto sottostare ad altro tipo di imposizione. Il silenzio è una scelta che va rispettata, che in parte anche io ho praticato. Non mi sono sentita in dovere di condividere troppo. Qualcuno ha colto anche l’occasione per dedicarsi un po’ a sé stesso e non sempre agli altri.

Omar Pedrini e Francesca Amodio - Ph: polariseditore.it
Omar Pedrini e Francesca Amodio – Ph: polariseditore.it

Quando il peggio sarà passato

Guardando sempre al periodo che stiamo vivendo e volendo offrire un paio di calici al nostro paese, consigliaci un vino per ricaricarsi e guarire e un altro, invece, per ripartire e ricostruire.

La cosa ironica è che io non so cucinare e sono totalmente astemia. Fa molto ridere, ma sono un po’ come quelli che hanno l’orecchio assoluto, che magari non sanno scrivere uno spartito però sanno suonare. Non cucino ma, da grande fruitrice, quando un piatto non va, so esattamente dirti perché non va. Sono astemia ma leggo tantissime riviste sui vini. Dunque, per quanto riguarda un momento “apollineo” abbinerei un Sampagnino, un bianco frizzantino però calmo, dalle sfumature tropicali al palato, che rimanda un po’ alle spiagge desertiche che tutti sogniamo ultimamente. Per il momento “dionisiaco” penserei a un Bolgheri rosso, bello intenso, molto elegante che va ad abbinarsi con l’arrosto però in realtà si sposa bene anche con un sacco di tipi di pesce, quindi ha questo pizzico di follia. Penso che quando ci sarà la ripartenza generale ci vorrà un po’ di apollineo e di dionisiaco. Bisognerà ripartire con enfasi ma anche con molta cautela.

Ragioniamo sempre nel campo dell’ipotetico: quando ci saremo lasciati alle spalle questo periodo terribile, con quale artista ti piacerebbe andare a cena, dove e quale sarebbe il piatto ideale da condividere?

Ti rispondo, senza ombra di dubbio, Giovanni Lindo Ferretti. Andrei a trovarlo sicuramente nella sua Cerreto Alpi, quindi in pieno Appennino reggiano, in uno dei centri storici più antichi. E, davanti a un bel piatto di tortelli di zucca, mi farei raccontare dei tempi che purtroppo da fan non ho vissuto e non potrò più vivere. Questa è un po’ la mia condanna: essere fan dei CCCP ma essere nata nel ’91 non m’ha proprio portato benissimo. Sono fan di un gruppo che so di non aver visto nel suo momento migliore e so che non avrò mai la possibilità di vedere… insomma ne avrei di cose da domandargli.

Emanuela Cristo

seguici su:
twitter
instagram
facebook
Metropolitan Music
spotify