Parole di carceri e di inciviltà

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Di Flavia Carlini

Eravamo negli anni del 1700 quando Voltaire scrisse quello che oggi suona forse come un presagio. “Non fatemi vedere i vostri palazzi, ma le vostre carceri, perché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione”. Probabilmente vi starete chiedendo cosa questo abbia a che fare con noi, l’Italia, il bel paese, la casa della democrazia. Ecco, se decidiamo di abbracciare la tesi illuminista di Voltaire e ammettiamo che carceri fatiscenti, decadenti, sovraffollate e antigieniche rappresentino un paese barbarico… non abbiamo che da guardarci in casa per trovare quell’esempio che ci permetta di tacciarci indelebilmente di inciviltà. Probabilmente storie e fotografie sarebbero in grado in un attimo di sbarrarci gli occhi a massima apertura, ma forse c’è qualcosa in più che possiamo fare per permettere all’idea della nostra inciviltà di permeare bene nelle nostre menti e lasciare che ognuno inizi ad interrogarsi sull’idea che ha del suolo che calpesta. Ci sono dei dati, che se letti e assimilati, sono forse più nitidi di mille fotografie. Quindi cominciamo. 

I dati qui presentati si riferiscono, inequivocabilmente, all’Italia. Sono aggiornati (tragicamente aggiornati) e sono stati rilasciati dall’associazione Antigone nel suo XVIII rapporto, nell’estate pandemica e bollente del 2022. 

In Italia abbiamo 197 carceri, la stragrande maggioranza di queste è sovraffollata, un terzo di queste ha dei detenuti per cui non può garantire lo spazio. Dove si mettono? vi chiederete voi. Sovraffollata quanto? Nel 31% degli istituti ci sono celle in cui non sono garantiti i 3 metri quadri per persona. 25 carceri presentano un tasso di sovraffollamento superiore al 150%, con picchi di oltre il 190%. Vi chiederete dove si trovano queste carceri disumane, se puntare il dito al nord, al sud, in città o in provincia. A livello regionale il tasso di sovraffollamento più alto si riscontra in Lombardia (148,9%), se parliamo di città la situazione più critica si trova a Latina, che ha un tasso di affollamento reale del 194,5%. Non c’è regione che si salvi, comunque. Nord o sud non c’entrano. Il problema, è l’Italia. Ma il sovraffollamento, comunque, non è tutto. Antigone scrive «al sovraffollamento, che non aiuta di per sé a combattere il caldo, si aggiunge anche il fatto che nel 58% delle celle non ci sia la doccia per cercare un po’ di refrigerio (anche se il regolamento penitenziario del 2000 prevedeva che ci fossero docce in ogni camera di pernottamento entro il 20 settembre 2005). Infine nel 44,4% degli istituti ci sono celle con schermature alle finestre che impediscono il passaggio di aria». Di nuovo, però, non è tutto. Nel definire la nostra immagine figuriamoci anche il razionamento dell’acqua. Figuriamoci anche l’assenza del bidet nel 30% delle celle ospitanti donne. Figuriamoci celle senza la possibilità di regolare la temperatura né in estate né in inverno. Figuriamoci celle in cui il wc è completamente esposto. Figuriamoci condizione igieniche pietose. 

Figuriamoci abitarlo, un luogo così.

Passiamo alle conseguenze dirette di tutto ciò: in carcere, solo quest’anno, c’è stato mediamente 1 suicido ogni 5 giorni. Chi si suicida di più sono i giovani. Persone tra i 20 e i 30 anni, spesso all’inizio della pena da scontare. Le donne detenute nel carcere delle Vallette, il 24 agosto, hanno iniziato uno sciopero. Uno sciopero della fame. Munite di carta e penna, scrivono: 

scriviamo da una cella della sezione femminile delle “Vallette”…ognuna di noi, dal 24 agosto al 25 settembre, farà alcuni giorni di sciopero della fame: “a staffetta” ognuna di noi vuole esprimere solidarietà per tutti coloro che sono morti suicidi, soli dentro una cella bollente…ognuna di noi, aderendo a questa iniziativa non violenta vuole esprimere lo sdegno ed il dissenso per il menefreghismo di una certa politica, e delle istituzioni! Per noi e per tutti i reclusi, la “cattività” in cui in cui ci vorreste tenere a vita è inaccettabile. Mentre voi non ci nominate noi vi accompagniamo fino al giorno delle elezioni, poi dopo si aprirà l’ennesimo capitolo. Ci negate una riforma da anni…ciò nonostante noi non ci zittiamo! Chiediamo il supporto e la solidarietà di tutti coloro che si occupano di diritti di far arrivare le nostre voci ovunque serva! Le voci nostre e dei compagni che non ce l’hanno fatta. 

Un abbraccio prigioniero, le ragazze di Torino”.

Se la disumanità è l’elemento comune delle condizioni di prigionia non dovrebbe forse sorprendere che violenza porti violenza fino ai casi come quello del carcere di Santa Maria Capua Vetere. Il “sistema Poggioreale” è stato chiamato. Nella sostanza, una mattanza. “Li abbattiamo come vitelli” dice qualcuno nei documenti probatori arrivati alla procura. È il 5 dicembre 2020, l’Italia è in piena ondata pandemica. Nel carcere di Santa Maria Capua Vetere c’è il primo caso Covid. Le condizioni di convivenza sono insostenibili. Si rischia una pandemia carceraria. Scoppia una protesta. 24 ore dopo circa 200 agenti fanno irruzione nel reparto Nilo. I detenuti vengono trascinati con violenza fuori dalle celle e poi picchiati, manganellati, umiliati a lungo. Non si fanno sconti, anche i disabili subiscono la mattanza. Ad oggi, lo sappiamo, agli indagati sono stati imputati i reati di delitti di tortura pluriaggravati, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, abuso di autorità, perquisizioni personali arbitrarie, calunnia, frode processuale, depistaggio, favoreggiamento personale, rivelazioni indebite di segreti d’ufficio, omessa denuncia e cooperazione nell’omicidio colposo ai danni del detenuto Hakimi Lamine, deceduto in carcere il 4 maggio 2020. 

Riprendo adesso la nostra costituzione, successiva certamente a Voltaire, attenta nel definire i contorni della pena carceraria. Leggo quindi l’art 27, e recita “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d’umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Avrei voglia di ripeterlo all’infinito perché ogni volta assume una nuova sfumatura. Ogni volta, con i dati riportati ben in mente, mi si figura una violazione. Una violazione della Costituzione, se vogliamo essere più cinici, una violazione dei diritti umani se vogliamo indagare il significato delle cose. Era il 1975 quando l’Italia ha scelto di rinunciare al carattere punitivo della reclusione per spianare la strada a un carcere che riconosca umani quelli che ci sono rinchiusi. È il 2022 quando leggendo questi dati ci rendiamo conto che oggi tra quelle mura non c’è umanità e il carattere corporale della pena ancora regna sovrano è solo che, adesso, avviene tutto nel silenzio collettivo.