“Per un pugno di dollari”, il poncho misurato da Clint Eastwood

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Di Federica De Candia

Impossibile immaginare Ramón senza i peones, i suoi soldati. E senza il suo Winchester, dire “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto“. Gian Maria Volonté pronuncia il vecchio proverbio messicano rivolto al pistolero solitario Joe, Clint Eastwood. Era il 1964, e questo era il primo spaghetti western della cosiddetta «trilogia del dollaro», girato in sole otto settimane. “Per un pugno di dollari“, stasera in tv il film sincero e spietato. Non un complimento di più: «Mi piace perché è un attore che ha solo due espressoni: una con il cappello e l’altra senza cappello», disse Sergio Leone dopo aver portato Clint in Italia.

In America con altri nomi

“Per un pugno di dollari”, foto da Amazon

Sergio Leone non aveva grande stima di Clint Eastwood. Divenne l’uomo senza nome, dall’aria stanca, con il suo panciotto antiproiettile, con un poncho sgualcito, un cappello da damerino sul capo, in sella a un mulo. “Al cuore Ramon, se vuoi uccidere un uomo devi colpirlo al cuore”. E così fece Leone: puntò dritto al cuore, con il suo rivoluzionario western. Con gli sguardi degli attori, sui quali indugeranno tante riprese. Chiamò gli sceneggiatori Duccio Tessari, Sergio Corbucci (poi regista di “Django” il film gemello narrativo di quello di Leone) e Tonino Delli Colli. “Per un pugno di dollari“, fu il primo film di questo genere, a essere proiettato negli Stati Uniti d’America. E i membri della troupe e del cast, si diedero finti nomi americani, che avrebbero reso più ‘credibile’ un film western: Sergio Leone usò il nome Bob Robertson (che significa figlio di Roberto Roberti, in memoria di suo padre Vincenzo, noto con il nome d’arte Roberto Roberti), e Ennio Morricone firmò la colonna sonora con lo pseudonimo Dan Savio (in alcuni titoli è stato rinominato Leo Nichols), mentre Gian Maria Volonté appare con il nome John Wells.

Joe (Clint Eastwood), arriva a San Miguel, una cittadina al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, dove due famiglie, i Rojo e i Morales, si fanno la guerra da anni per il monopolio del contrabbando di alcool e di armi. Il “gringo” lo chiama Ramón (Gian Maria Volonté), sanguinario criminale, abilissimo nel fucile. Altro sguardo d’oro del film, Volonté morirà lavorando, perché: “A volte non c’è più tempo per un domani”, come ha avuto modo di dire. “Ora devi solo procurarti qualcuno che sappia fischiare”. Disse il regista a Ennio Morricone. Fu il primo film insieme. Con la musica che sottolinea azioni e sentimenti più del dialogo. E fu storia con Alessandro Alessandroni, che ebbe il soprannome di ‘fischio‘, coniato per lui da Federico Fellini. “Ho scoperto che il mio fischio era ottimo al microfono, perché il microfono non ama il respiro e io ho un respiro breve… Usavamo strumenti inusuali per un western. Un flauto di legno, una frusta, campane. La maranzana siciliana: Dang. L’uso degli strumenti era diverso dall’approccio tradizionale e dava origine a una specie di folk italiano”. Questo il ricordo del maestro romano Alessandroni. Leone era così soddisfatto della colonna sonora che spesso allungava le scene per lasciar terminare la musica.

Come solo Clint sa fare

A Morricone piacque particolarmente la figura di Clint Eastwood: questo antieroe che ricordava, per certi versi, il bullo trasteverino. Prima di affidare la parte del misterioso pistolero a Eastwood (che fu suggerito da Eric Fleming perché star del telefilm «Gli uomini della prateria»). Nella serie era troppo ben rasato e pulito; noto per la sua indolenza, i movimenti lenti. Ma nel momento dell’azione diventava scattante, con gli occhi da cobra. Leone aveva proposto il ruolo a numerosi attori, prima. Ma tutti avevano rifiutato: come Hanry Fonda, Richard Harrison, James Coburn de “I magnifici sette. Non conoscevano il giovane Leone e chiedevano compensi alti per non fare il film. Charles Bronson arrivò a definire il copione «il peggiore che abbia mai visto». Accettò per quindici mila dollari, la metà di quel che guadagnava in televisione, il giovane Clint. Prelevato all’aeroporto come uno studente americano. Buttato nel cast insieme all’italiano di Roma Mario Brega, nel ruolo di Chico.

Arrivato a Cinecittà, Leone gli fece misurare il poncho, l’iconico, che a guardarlo pare marrone scuro ma è verde oliva, con i disegni indiani bianchi e la frangia. Il costumista era Carlo Simi. Una barba finta, un cappello insolito ‘antiwestern’, e il sigaro messo direttamente in bocca. Clint provò a dire “no smoking“, ma sappiamo tutti come andò a finire. Il toscano era il protagonista! Fu Clint Eastwood a convincere il regista a ridurre al minimo i suoi dialoghi. Aveva ragione: i silenzi dei suoi personaggi sarebbero diventati una vera e propria firma anche nei film successivi. Con l’inquadratura che parte dal basso degli stivali, si sofferma sulla mano in procinto di sparare, e il primissimo piano nel duello (un’inquadratura che in gergo, da lì in poi verrà chiamata “Leone”). Gli occhi che, diceva Leone, rivelavano “tutto quello che c’è da sapere sul personaggio: coraggio, paura, incertezza, morte..”. Joe si esprime flemmatico: “Vedi i morti possono essere molto utili. A me personalmente, hanno risolto situazioni difficili più di una volta. Primo, perché non parlano. Secondo, perché se aggiustati bene possono sembrare vivi. E terzo, anche se gli spari non succede niente perché al massimo dovrebbero morire, ma sono già morti”.

Per quei dollari

Al mio mulo non piace la gente che ride. Ha subito l’impressione che si rida di lui“. “Per un pugno di dollari” è un remake non dichiarato de «La sfida del samurai» (1961) di Akira Kurosawa. Quando la pellicola uscì, il regista giapponese rivendicò i diritti del film, e ne acquisì i diritti per la distribuzione nel continente asiatico, con una percentuale sui guadagni di Leone. Vanamente, si provò a rivendicare che l’ispirazione di “Per un pugno di dollari” fosse la commedia teatrale di Carlo Goldoni del 1745 “Arlecchino servitore di due padroni“. Il titolo del film, originariamente era «The Magnificent Stranger», e fu cambiato in “Per un pugno di dollari” pochi giorni prima che venisse presentato nelle sale. Nessuno avvisò Clint Eastwood, che per tre settimane rimase ignaro del successo che la pellicola stava avendo.

Eastwood ha raccontato che nel girare la sua entrata a San Miguel, Leone aveva in mente un’immagine ben precisa: «Gli sarebbe piaciuto farmi passare vicino a un albero solitario nel deserto, dal quale penzolasse una corda con un cappio. Il problema era che in quella zona del deserto non c’erano alberi. Leone andò a cercare dunque un albero adatto e alla fine lo trovò». Ma era piantato nel cortile di un contadino. E il regista ebbe un’idea: si finse un addetto stradale incaricato di rimuovere alberi pericolosi e glielo portò via. “Sergio in realtà non sa proprio nulla sul West. È solo un bravo regista“, Clint ricambiava ogni tanto, qualche complimento. Il regista non conosceva il “Codice Hays” di Hollywood: un personaggio colpito da una pallottola di un’arma da fuoco non poteva trovarsi nello stesso fotogramma dell’arma nel momento in cui sparava. L’effetto era troppo violento. Si doveva girare separatamente. Sergio metteva tutto insieme. Si vedevano, pistola che fa fuoco, pallottola, e tizio che cade.

Pistola verso fucile, vince Poncho

Joe uccide Ramon, e lo fa citando proprio le sue parole, pronunciate nella prima, iconica scena: “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, quello con la pistola è un uomo morto. Avevi detto così. Vediamo se è vero. Raccogli il fucile, carica e spara”, gli intima. “Al cuore, sono parole tue, no?”. Ma il fucile di Ramon, il più sadico dei fratelli Rojo, scarica invano i colpi: è il poncho a salvarlo. A dargli respiro fino al minuto cento. Tra i toni minacciosi, i flauti cupi, la chitarra a due corde e l’ocarina. La tromba solitaria, e anche il titolo è proiettato in corrispondenza di uno sparo. Sotto quella lana infeltrita, una lastra scudo protettivo di metallo.

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