Poesie per l’Epifania, i versi di Giovanni Pascoli dedicati alla figura della Befana

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Di Stella Grillo

Fra le poesie d’autore dedicate alla figura della Befana quella di Giovanni Pascoli è la poesia che più di tutti induce alla riflessione trattando temi attuali. La Befana, personaggio folkloristico della cultura popolare italiana, durante la festa dell’Epifania è nota per recare doni a dolciumi ai bambini più buoni. Nel nuovo appuntamento della rubrica Letteratura per l’Infanzia, i versi di Giovanni Pascoli dedicati a questa iconica vecchina.

Poesie per la Befana, Giovanni Pascoli e la contrapposizione delle realtà sociali: una riflessione contemporanea

Poesie Befana
Credits – milocca.files.wordpress.com

Nei componimenti di Giovanni Pascoli ci si imbatte spesso in atmosfere in cui, il mito dell’infanzia, rifulge con la sua presenza tangibile. Per l’autore della poetica del fanciullino, ”Il poeta è un eterno fanciullo, un fanciullino, che continua a vivere in ogni uomo anche dopo la fine dell’infanzia”. In questo contesto, la Befana e i miti che aleggiano attorno a questa misteriosa figura sono il nutrimento ideale per la fantasia di un bambino che ne percepisce l’enigma e il mistero con inquietudine e fanciullesca trepidazione. Il Pascoli, in una delle sue poesie che dedica al personaggio della Befana , contrappone due realtà sociali opposte: due donne, madri, che si apprestano alla celebrazione del giorno dell’Epifania. L’immagine è evocativa ma, soprattutto, esorta a una riflessione non molto lontana dalle realtà attuali.

Viene viene la Befana,
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! la circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.

Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed è il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.

E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.

Che c’è dentro questa villa?
uno stropiccìo leggiero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa?

La Befana, durante la notte, scende dai monti; nel mezzo della tormenta, fra gelo e neve, si appresta a far visita a ogni bambino. Dapprima, arriva in una villa in cui tutto sembra idilliaco; le calze appese e i bimbi che dormono nel loro letto caldo, immagine che rimanda a una atmosfera serena e di gaudio imperturbabile. I bambini attendono, sognando quieti, l’arrivo del mattino per meravigliarsi dei doni che troveranno al loro risveglio.

Guarda e guarda… tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
Guarda e guarda… ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini…

Il lumino brilla e scende,
e ne scricchiolano le scale:
il lumino brilla e sale,
e ne palpitano le tende.
Chi mai sale? chi mai scende?

Co’ suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampana di chiesa.
Co’ suoi doni mamma è scesa.

Atmosfere differenti e riflessioni attuali

La Befana si allontana per spostarsi, in seguito, in un casolare rustico e umile dove la realtà è ben diversa dall’atmosfera placida che si percepisce nella villa.

[…]

E che c’è nel casolare?
un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?

Guarda e guarda… tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra le ceneri e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti…

E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila…
Veglia e piange, piange e fila.

La Befana osserva la situazione di quel casolare spoglio: la realtà sociale abbiente lascia il posto a lumi fiochi, sospiri di tristezza; focolari in cui una flebile fiamma illumina e riscalda la stanza. Anche qui, tre bambini dormono; hanno zoccoli consumati e riposano fra la cenere e il carbone del fuoco.

Se nella villa appena lasciata l’attesa è serena, nel casolare una madre sospira e piange perché cosciente di non poter donare quel che vorrebbe ai suoi figli. Qui la ricchezza non è materiale ma è riposta nella fede e nella speme; nell’auspicio di una madre che soffre per non poter garantire la meraviglia e la gioia al risveglio dei suoi bambini. Dietro il ritmo apparentemente semplice e scanzonato, la poetica di Pascoli cela sempre un messaggio differente dall’apparenza dei suoi versi e che, spesso, si traduce in un moto di riflessione sui contesti sociali, le emozioni, la realtà per come si presenta. Persino la Befana sembra turbata da questa visione e fa ritorno fra i suoi monti:

La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.

La Befana sta sul monte.
Ciò che vede è ciò che vide:
c’è chi piange, c’è chi ride:
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sul bianco monte.

La dolce vecchina rimane inerme davanti a tutte le scene che vede e sente: la mamma piange ancora su ”quei bimbi senza niente”. Nelle ultime due strofe, Pascoli cristallizza il personaggio della Befana facendolo quasi percepire come impotente: la Befana ritorna su quei monti pensierosa e conscia del fatto che per alcune persone vivere è più duro rispetto ad altre, senza un’apparente ragione da perseguire.

Stella Grillo

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