Pokèmon Spada e Scudo hanno ucciso il mio allenatore interiore

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Di Redazione Metropolitan

“Hai giocato questo gioco?” “si l’ho giocato”.
In teoria questo scambio di battute dovrebbe essere scorretto.
Grammaticalmente un gioco non può essere giocato come un libro può essere letto o un film visto. Ma (dalla mia totale ignoranza) credo che queste siano rimasuglie di un tempo in cui i giochi erano unicamente attività e non opere con un inizio, uno sviluppo e una fine.
Il termine giocare è molto interessante e complesso perchè si porta in spalla una serie di ingiustizie e pregiudizi. È difficile prendere sul serio un’arte quando anche solo nella lingua parlata viene trattata come il fratellino scemo.
Questa rubrica, che si pone l’obiettivo di analizzare temi e tecniche di opere video-ludiche, preferisce fregarsene e passare dal serio al faceto, giocare con il concetto di gioco spogliandolo dall’aura di infantilismo che lo avvolge senza però rinunciare alla sua unicità dinamica. Prendersi sul serio e non sul serio. Giocare come in inglese, dove play vuol dire anche recitare, suonare o in genere essere attivi in qualcosa. Sono invitati gli appassionati così come i detrattori le cui perplessità combatteremo con un lapidario e altezzoso “eppur si gioca”.

La rubrica, oggi, parlerà di qualcosa di diverso.
Quello che segue non è l’analisi di un gioco, bensì una riflessione sul Brand Pokèmon e di cosa sembrano significare le sue nuove iterazioni Spada e Scudo, la cui uscita è attualmente calendarizzata intorno alla fine del 2019.
Parleremo di cosa sembrano, cosa potrebbero essere e cosa potrebbero essere stati.
E di come, per l’appunto, abbiano ucciso il mio allenatore interiore.

Sarebbe, ovviamente, più corretto dire che sia stata la loro presentazione ad ucciderlo.
Lo so, lo so, non è il massimo dare giudizi prima di avere almeno un’idea più chiara del prodotto finale.
Sarà forse il mio spiacevole pessimismo o la cocente delusione, ma sono purtroppo abbastanza sicuro che tante più cose scoprirò su questi giochi, tanto più le mie paure si concretizzeranno.

Pokèmon – Photo Credit: web

Una premessa.

Pokèmon è uno degli elementi fondamentali della mia formazione come giocatore, appassionato d’arte nonché individuo. È stato, per me, uno di quei prodotti totalizzanti che ti nutrono e crescono, oltre ad essere un forte strumento emotivo di comunanza con gli amici, colleghi allenatori.
Pokèmon è stato, per me, e anche per molti altri, un compagno di avventure.

Divorai fino all’osso le prime tre generazioni e anche quando il mio poco amore per i giochi a turni (che già da piccolo trovava una quasi inspiegabile eccezione nei mostriciattoli Game Freak) scemò con la quarta e la quinta, esplorare ed allenare nuove creature, per poi confrontarsi con gli amici, restava una bellissima esperienza.

Arrivò la sesta generazione di X/Y e vedere modelli poligonali, una telecamera più estroversa e il mondo di gioco che si svincolava dall’assenza di curve era davvero galvanizzante. Sembrava che Pokèmon stesse cercando di librarsi sopra alle costrizioni delle (un tempo poco performanti) console portatili.
Era il battito di ali prima del decollo. Cosa ci aspettava dopo?

Poco, apparentemente.
I trailer e le recensioni di Sole e Luna, lasciavano intendere si trattasse di qualcosa di non troppo diverso da versioni revisionate di X e Y. Con qualche aggiunta per dare un senso di cambiamento.

Se il decollo era avvenuto, si restava comunque a circa un metro da terra.

Pokèmon sole e luna – Photo Credit: web

Non so voi, ma negli anni ho sempre percepito, da parte di fan di Pokèmon, la voglia di avere un gioco per console casalinga, un’avventura che non solo simulasse il tipo di fantasia di indipendenza e abbandono nella natura che i precedenti giochi incarnavano, ma che cercasse di renderla il più reale possibile.
Ad un certo punto, sembrava una cosa irrealizzabile, ma negli ultimi anni sono successe un paio di cose.

Nintendo ha creato Switch, la prima console ibrida, abbattendo il limite tra ciò che può essere un gioco portatile e uno da casa.

Se questo non bastasse, arrivarono anche Zelda: Breath of the Wild e Super Mario Odyssey. Due giochi dalla qualità sbalorditiva, capaci di riprendere i concetti che stanno al centro delle rispettive serie e, con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro, portarli alle loro conseguenze più creative, libere ed immaginative. Inutile ormai dire che si sono entrambi rivelati due successi, ridando il lustro e il riconoscimento che spetta all’elfo e all’idraulico e stregando di nuovo milioni di giocatori.
Era abbastanza chiaro a tutti chi dovesse essere il prossimo in linea per subire questo trattamento.

Pokèmon go – Photo Credit: web

Se neanche questo bastasse, il gioco per mobile Pokèmon Go era riuscito a far parlare di nuovo chiunque dei mostri tascabili. Il progetto puntava sulla prima generazione che era nel cuore di tutti e (di nuovo) prendeva l’anima del brand (l’esplorazione al fine di trovare creature nuove in posti nuovi) per poi traslarla in un gameplay che interagiva direttamente col mondo reale. Altro enorme successo.

Dopo che la mania di Go era scemata, vennero annunciati Pokèmon Let’s go Pikachu ed Eevee. Di nuovo la prima generazione, ancora un occhio ai giocatori meno esperti. Era lampante che, una volta gettata la rete mondiale ed essersi assicurati di avere di nuovo Pokèmon nella mente di tutti, questi due titoli erano una sorta di ‘corso di formazione’ per far capire come funziona ‘davvero’ un gioco Pokèmon. In questo modo, all’arrivo dei nuovi episodi ‘seri’, molta più gente sarebbe stata pronta a saltare sul carro. Al contempo, sembrava l’ennesimo tuffo nel passato, per fare cassa e potersi gettare nel nuovo.

Era tutto perfetto, i pianeti allineati e si aspettavano le notizie per questi nuovi capitoli come si aspetta qualcosa che ti apra il cuore e ti stupisca e ricordi a tutti perchè Pokèmon era diventato un fenomeno mondiale, ai suoi tempi.

Pokèmon spada e scudo – Photo Credit: web

Inutile dire che così non è stato.
E non fraintendetemi, Spada e Scudo sembrano giochi belli e interessanti.
Ma sembrano i SOLITI giochi belli e interessanti. Non siamo, in fondo, troppo lontani dal salto fatto da X ed Y (ormai) sei anni fa.
Non apparentemente, quantomeno

Se siete dei fan del battling competitivo e vi bastano nuovi Pokèmon, nuove mosse e nuove tecniche per le battaglie, al fine di approfondire le sfumature e le possibili varianti per affrontare uno scontro, vi capisco.
Capisco che sia quella la base solida di giocatori che supporta il brand e capisco che invece quelli più casual o che non ci mettono mano da tanto possano trovare entusiasmante anche solo scoprire o rivivere la sensazione unica e piacevole di incontrare, catturare e crescere nuovi mostri.
Lo capisco.
E sono anche il primo a dire che Pokèmon è uno di quei brand con un gameplay efficace fin dal suo esordio. La meccanica principale di cattura e allenamento funziona da sempre e cambiarla sarebbe rischioso e, francamente, un po’ stupido.
Ma a maggior ragione, sono sconvolto dalla reticenza di Game Freak nel tentare di approfondire tutto quello che non è legato strettamente al battle system.

Personalmente, quello che amavo in Pokèmon e che credo sia alla base del tipo di fantasia che porta avanti da anni è l’idea di interazione con la natura. L’idea di un giovane che si avventura da solo in un mondo pieno di insidie e meraviglie, un mondo pieno di paesaggi naturali sconfinati e colmi di segreti. Scoprire una grotta e trovarci dentro delle creature nuove che possono vivere solo al buio o capire i meccanismi che regolano gli elementi dell’ambiente (incarnati appunto dai vari tipi e le relazioni di debolezza e resistenza che intercorrono tra essi) tramite l’interfacciarsi con vari mostriciattoli.
E mi dispiace, nel trailer di spada e scudo, nonostante alcuni bei momenti (come la collina mozzafiato) io non riesco a vedere niente di tutto ciò.

Ora, se volete seguirmi ancora, vi chiedo di immaginare questo:

Siete in viaggio da una nuova città alla successiva dopo aver vinto la vostra terza medaglia. Vi scontrate con un allenatore che possiede un Pokèmon che non avete mai visto, vi sembra bellissimo e vi da del filo da torcere in battaglia. Decidete che volete allenarne uno. Una volta visto, il Pokèdex vi indica dove trovarlo e vi dice che è attratto dal miele.
Allora andate nel più vicino negozio, comprate del miele e vi dirigete verso il bosco.

Il bosco è buio, vi serve una luce. Chiamate il vostro fidato Pokèmon con flash e, facendolo uscire dalla sfera, vi segue consentendovi di vedere meglio. La luce non è così forte da illuminare tutto e tra gli alberi girano ancora molte ombre poco leggibili. Scorgete però dell’erba alta, vi ci addentrate e decidete di lasciare del miele in un certo punto, per fare da esca.

Sapete che il Pokèmon che state cercando è molto schivo e che stare lì in piedi come degli stoccafissi non vi aiuterà. Allora scorgete una roccia lì vicino, vi ci acquattate dietro per nascondervi.
Vedete arrivare il Pokèmon, attratto dal miele. Sembra un esemplare anche abbastanza massiccio e che fa al caso vostro. Pian piano vi avvicinate, gli arrivate alle spalle ed inizia il combattimento.

Con fatica lo catturate e ora il vostro Pokèdex vi darà molte più informazioni a riguardo, magari suggerendovi il miglior modo per allenare il vostro esemplare. Inoltre, d’ora in avanti (se vorrete darvi alla cattura massiccia di quel tipo di creatura) basterà selezionare una funzione del Pokèdex (in stile Pokèradar) e la modalità di ricerca sarà largamente facilitata. Basterà girare nell’erba alta nelle zone abitate da quel Pokèmon per incontrare solo quella specie.

Oppure.
Immaginate di essere in mezzo all’oceano e veder spuntare dal nulla, in tutto il suo splendore, un enorme Gyarados feroce che vi affronta. Provate a combatterlo ma vedete che è troppo forte e tentate la fuga, ma dovrete ingegnarvi davvero per cercare di seminarlo e il modo più veloce è spiccare il volo con il vostro fidato Toucannon.

Oppure.
Immaginate di sentir parlare di un Pokèmon leggendario che si dice compaia solo in certe condizioni e quando un giorno vedrete la pioggia cadere vicino un lago di notte saprete cosa fare.
E magari lo scorgerete che vi fissa immobile da lontano, dall’altra parte dell’enorme specchio d’acqua.

Oppure, ancora, sorprendervi nel trovarne un’altra bestia rara bere da una fonte mentre state esplorando una zona nuova e cercare di essere silenziosi per capire come interagirci senza farlo scappare.

Oppure, ancora, immaginate un mondo di gioco che non consente solo di diventare allenatori, ma che regala delle meccaniche interessanti anche per tutti i ruoli paralleli che adornano l’immaginario di Pokèmon.

Oppure, ancora, immaginate un comparto online che riesca a mimare quanto fatto con Pokèmon Go. Con allenatori che possono effettivamente diventare capopalestra per farsi sfidare e magari spodestare.

Tutte queste idee, allo stato attuale dello sviluppo del media videoludico, non sono fantascienza. Eppure non avevamo delle belle immagini da mostrarvi a corredo di questi paragrafetti.
Certo, implementare tutte queste possibilità in maniera efficiente può essere costoso e rischioso e complesso e richiedere tempo e capisco che non tutti i giochi possono essere Breath of the Wild o Red Dead Redemption 2. Ma basterebbe anche solo una di queste idee, nemmeno pienamente esplorata, per dare una ventata d’aria fresca ai nostri mostri preferiti. O almeno per regalarci la sensazione che il vento stia davvero cambiando e sia finalmente favorevole ad un decollo come si deve.

Pokèmon – Photo Credit: web

Quello che mi rattrista, nella recente andatura dei giochi Pokèmon, è che ogni nuovo trailer non fa che ricordarmi quanto poco sia cambiato dai tempi di Oro e Argento. E di come quel piccolo cuore tematico di potenzialità, quell’idea di avventura che abbiamo sempre voluto, resti inespressa.

Quell’idea di avventura che mentre giocavamo sui nostri game boy immaginavamo di vivere.

Vedere dall’alto quel mondo stilizzato che negava il dettaglio, rendeva affascinante decodificare un’ammasso di pixel viola e neri per vederci una caverna e ci faceva sembrare ogni minimo cambiamento qualcosa di nuovo ed emotivamente intenso.

Gli incontri casuali erano efficaci perchè ci mostravano quello che nella parte esplorativa ci era negato: dei dettagli. Potevamo vedere da vicino cosa stava succedendo e quando vedevamo un leggendario ridotto ad icona nel mondo di gioco, lo scarto di attesa tra la sua rappresentazione minimale e quella descrittiva della battaglia ci riempiva di tensione ed emozione, mentre l’epica musica dello scontro rompeva il silenzio.

Ora che i giochi Pokèmon hanno una grafica molto più dettagliata e ‘realistica’ e tutto quello che hanno perso in mistero, interpretazione ed interazione immaginativa lo hanno guadagnato in suggestione, esistono in una zona artistica dove tanto più il loro aspetto visivo accresce l’illusione di reale, tanto più i vecchi meccanismi cominciano a sembrare ridicoli e antiquati.

Se prima la grafica e il gameplay andavano a braccetto e presentavano l’illusione dell’avventura al meglio, adesso io non ci credo più. Se prima un allenatore impalato a fissare il vuoto era così poco ‘descritto’ graficamente che potevo immaginarmi tutti i dettagli della sua presenza e giustificarne l’immobilità, ora che lo vedo faccia a faccia nel trailer dei nuovi episodi, non può che sembrarmi un robot o, nel migliore dei casi, un completo idiota.
Se prima il minimalismo mi consentiva di immaginare, ora che non posso immaginare esigo di interagire, di essere stupito, sorpreso, affascinato.
E mi dispiace, non bastano dei modelli poligonali più dettagliati per fare questo.

Non per Pokèmon, almeno.

Immagino però che al resto del mondo (o almeno, alle persone che continuano a far incassare il brand) questi piccoli, apparenti cambiamenti bastino eccome.
E sono felice per loro, davvero.
Ma, personalmente, dopo che tutto sembrava pronto per l’avventura che Pokèmon ha sempre implicitamente promesso e che so che può essere, quest’annuncio mi ha davvero spento.
Per quanto mi riguarda, appenderò il mio portamedaglie al chiodo e mi dedicherò ad altre avventure, sperando che sia solo una faccenda temporanea e che un giorno non troppo lontano, qualcosa mi faccia cambiare idea.

Voi, intanto, divertitevi anche per me.
Gotta catch’em all.

Illustrazione di Alessandro Romita

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