Il 29 aprile 2019 tre attiviste avevano appeso poster della Vergine nera di Częstochowa con indosso un’aureola arcobaleno, colori della comunità LGBTQ+, come segno di protesta. Ora le donne sono state assolte in quanto il gesto non era rappresentativo della volontà di offendere un oggetto di culto, ma semplice espressione di sostenere i diritti della comunità LGBTQ+.
Le proteste per il sostegno alla comunità LGBTQ+ avvenute in Polonia
Nonostante in Polonia la comunità LGBTQ+ abbia garantiti gli stessi diritti delle persone eterosessuali, il Paese non sembra essere caratterizzato da una prerogativa di tolleranza nei confronti della comunità.
Sono presenti nel territorio infatti “zone libere dalle persone LGBT”; solo fino al 1991 l’omosessualità si trovava tra l’elenco delle malattie mentali; e sono note le azioni di propaganda intraprese, soprattutto nel periodo della pandemia dove molti partiti sovranisti, di estrema destra e fascisti, sono scesi in piazza per protestare contro le norme attuate dal governo; per limitare alcuni diritti delle persone facenti parte della comunità LGBTQ+.
Delle situazioni che a volte sono degenerate, anche nella volontà di manifestare il proprio pensiero.
Una delle manifestazioni era stata attuata dalle attiviste Elżbieta Podleśna, Anna Prus e Joanna Gżyra-Iskandar che hanno scelto di appendere poster raffiguranti la Vergine di Częstochowa con un’aureola arcobaleno, per protestare contro la decisione del parrocco della Chiesa di San Domenico a Płock.
L’uomo infatti, in occasione della Pasqua aveva indicato i peccati che non avrebbero dovuto compiere i fedeli; tra questi l‘avidità, invidia, l’ideologia gender e la comunità LGBTQ+.
In seguito alla diffusione di queste raffigurazioni della Madonna il 6 maggio 2019 la Polizia aveva fatto irruzione nelle abitazioni delle tre attiviste, sequestrando anche i computer, e dando inizio ad un’indagine a carico delle tre donne con l’accusa di “offesa si sentimenti religiosi”.
La vicenda ha sensibilizzato l’opinione pubblica in tutto il mondo, tra cui le organizzazioni mondiali per i diritti umani Ilga-Europe e Amnesty International, che all’unisono hanno interpellato il governo polacca perché garantisse i diritti di “attivismo pacifico” e “libertà di espressione“.
Le donne sono state accusate di aver violato l’articolo 196 del codice penale che punisce chi “offenda i sentimenti religiosi di altre persone insultando pubblicamente un oggetto di culto“, con un periodo di reclusione fino a due anni.
Stando però a quanto dichiarato dalle organizzazioni per i diritti umani “L’articolo 196 impone restrizioni indebite al diritto alla libertà di espressione“ e ancora, “Elżbieta, Anna e Joanna si sono opposte all’odio e alla discriminazione e da anni combattono per una Polonia giusta ed eguale, e meritano di essere elogiate e non portate in tribunale per il loro attivismo.”
Ora le donne sono state legalmente assolte, ma la vicenda ha lasciato degli importanti strascichi, in quanto “simbolo di uno dei peggiori orientamenti contrari ai diritti umani in Polonia”.
Le proteste sono sempre meno tollerate, e le azioni della Polizia diventano ogni volta più aspre e apparentemente immotivate. Un clima di omofobia che nel Paese sembra diffondersi maggiormente piuttosto che diminuire e che sta preoccupando tutta la comunità LGBTQ+ e non solo.
Una situazione percepibile anche al di fuori dei confini dello Stato, tanto che Catrinel Motoc, campaigner di Amnesty International per l’Europa, ha dichiarato: “Questa vicenda ha messo in luce l’omofobia di stato e ha dimostrato come il sistema giudiziario polacco venga usato per prendere di mira, intimidire e minacciare chi difende i diritti umani. Le autorità di Varsavia devono porre fine a questa caccia alle streghe”.
Come è possibile che la sensibilizzazione al tema dei diritti umani, e la tolleranza, la solidarietà verso la comunità LGBTQ+, abbia fatto nel corso degli anni giganteschi passi indietro piuttosto che continuare ad andare avanti?
Il rispetto è presente nel Paese?
Quello che sembra esserci è clemenza solo verso l’omofobia.
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