“Quattro giornate”, un racconto dedicato ad una resistenza dimenticata

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Di Stefano Delle Cave

Benvenuti nell’universo letterario di StoryLine. Il 27 settembre 1943 cominciavano le famose quattro giornate di Napoli in cui napoletani si batterono eroicamente contro gli occupanti nazisti guadagnandosi alla libertà. Il nostro racconto è dedicato a questa eroica pagina di Resistenza ed in particolare alla battaglia dimenticata dei femminelli napoletani.

Il sangue gli sgorgava dal petto ma ciò nonostante sorrideva mentre era steso accanto ad una barricata. Gegè Spina non disse a nessuno che una pallottola tedesca lo aveva ferito. “Jatevenne, carogne”, continuava a gridare ad una postazione di tedeschi poco distante. Voleva dimostrare quanto si poteva essere più uomini di un uomo pur vestendosi tutti i giorni con trucco e parrucca. E questa volta era convinto di esserci riuscito a portare termine la promessa fatta di riaggiustare tutto in quattro giornate come non aveva fatto vent’anni prima quando era solo un ragazzino.

Quattro giornate, il tempo per cambiare

Le quattro giornate di Napoli, fonte Ellie Copter

Gegè sorrise ansimando mentre gli veniva in mente una vecchia frase detta da un uomo anni fa. “Te ne vuoi andare e vattene. Vediamo se in quattro giornate cambierai tutto come dici tu”, gli aveva detto sbattendogli la porta di casa. Era finito per strada, quel ragazzo reo di solo di voler giocare con i rossetti e non fare il mestiere di famiglia sognando una pista da ballo. E l’immagine di quello sconosciuto che chiudeva la porta appariva sempre più nitida alla mente come qualcuno che forse aveva conosciuto. Gegè Spina non aveva cambiato niente ma piuttosto quel giorno era nata Giulia, la sua nuova identità da femminello che il mondo gli aveva assegnato regalandolo in un basso ai margini di una società che non accettava la sua vera natura.

Gegè aveva accettato l’idea restando rinchiuso nel suo guscio, nascondendo sempre il vero se stesso e accettando di essere ai margini. Poi un giorno qualcosa cambiò quando vide un ragazzino piangente fuori dal suo uscio che si lamentava. All’inizio Gegè ebbe paura di avvicinarsi temendo che si equivocasse. Poi visto che le lacrime continuarono si fece coraggio e decise di scoprirne il motivo. Il piccolo uomo si chiamava Carmine e sognava di fare il cantante mentre il padre voleva farlo diventare Carabiniere. Gegè si commosse e decise di trovargli in segreto un insegnante di canto.

La minaccia nazista

5 anni dopo Carmine era diventato un giovane promettente cantante di club poi arrivò una minaccia più dura di un padre oppressore. L‘occupazione nazista aveva portato la fame e la paura in città perchè era stato chiesto l’arruolamento forzato tutti i maschi abili. Napoli si era svegliata in un grande malcontento popolare. Gegè inizialmente era rimasto sulle sue. Poi un giorno sentì un ultima volta Carmine cantare e piangere temendo di essere deportato. “Cambierò tutto in quattro giornate”, disse ancor una volta. Via dunque trucco e parrucca e spazio ai fucili.

Inizialmente gli altri insorti non glia avevano creduto. Gegè era pur sempre per tutti un femminello troppo debole per combattere. Lui però non ebbe paura e sparò un colpo contro una camionetta tedesca per dimostrare la sua forza. Prese parte anche ad un attacco pericoloso perchè in cuor suo era pronto a tutto per aiutare Carmine che si era in seguito anche lui unito alla rivolta. Non voleva infatti che la sua vita fosse, come considerava la sua, un completo fallimento. “Io non mi fermo”, disse a Carmine nonostante questi temesse per la vita del suo migliore amico.

Epilogo

In verità, in quegli ultimi, attimi mentre il respiro rallentava, Gegè ammise a se stesso di aver lottato anche per se, per cambiare il suo mondo come non aveva mai fatto prima. E ancora una volta tentò di lottare finchè la ferita non venne scoperta. Gegè fu portato via in spalla da Carmine in un luogo sicuro. In quegli istanti chiuse di nuovo gli occhi immaginando l’uomo misterioso che chiudeva la porta. Improvvisamente sorrise immaginando quell’uomo in lacrime per la lotta che aveva fatto. Sorrise immaginando che quell’uomo lo avesse accettato, che suo padre gli volesse finalmente bene.

Stefano Delle Cave