Il 30 Gennaio 1595 la compagnia dei Lord Chamberlain’s Men porta sulle assi del The Theatre, che presto sarebbe stato demolito per far posto al ben più noto Globe Theatre, la più delicata, sacrale, zuccherosa e incosciente storia d’amore di tutti i tempi. È la prima volta di Romeo e Giulietta sulla scena, dopo che l’arci-nota (già nel ‘500) vicenda dei fanciulli sospirosi, osteggiati nella passione dalle famiglie crudeli, si era già diffusa in forma letteraria. La fonte primaria di William Shakespeare fu infatti il poema narrativo in rima baciata Tragicall Historye of Romeus and Juliet, scritto nel 1562 da Arthur Brooke. Monotono e moraleggiante, il bardo nondimeno lo segue fedelmente per quanto riguarda la trama. L’italiano Luigi da Porto aveva già raggiunto la giusta architettura narrativa, scrivendo tra il 1512 e il 1524 aveva scritto L’Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti. La sua novella è la prima in cui si ambienta la storia nella Verona dissanguata dalle lotte familiari.

Romeo e Giulietta sulla scena: un’opera difficilmente classificabile

Ph: altervista.org

“All tragedies are finish’d by a death, all comedies are ended by a marriage.” Così chiosava sulla divisione in generi Lord Byron, nel III canto del suo don Juan. Per quanto affascinante e risolutivo, questo criterio di separazione così netto (morte nelle tragedie, matrimonio nelle commedie), potrebbe metterci in difficoltà nel classificare un’opera come Romeo and Juliet. Come in ogni commedia, infatti, c’è un matrimonio. Alla fine del II atto, il francescano frate Lorenzo sposa in gran segreto i due giovani. Egli spera che la loro unione possa riportare la pace tra le famiglie, ma solo la loro morte lo farà.

Come in ogni commedia ci sono anche balli e mascherate: è a una festa in maschera a casa Capuleti che Romeo incrocia lo sguardo di Giulietta, se ne innamora perdutamente e la bacia. Non esita poi a correre sotto il suo balcone, e scopre che anche lei lo ama. Tutto sembra troppo bello per essere vero. Ma anche quando la storia va a rotoli, lo spettatore ha sempre l’impressione che da un momento all’altro tutto si potrà risolvere per il meglio, che in realtà Romeo verrà a sapere della pozione-sonnifero con la quale Giulietta ha inscenato la sua morte, e farà a meno di suicidarsi.

La morte del sogno e il senso del sacrificio

Ci sono due elementi determinanti che sbilanciano Romeo and Juliet sul versante della tragedia. Il primo è senza dubbio la morte ex abrupto di Mercuzio. L’amico di Romeo è l’innovazione più audace di Shakespeare. Intelligente, spassoso, gaudente e volatile, rimprovera Romeo per la sua malinconia e lo imbottisce di monologhi sulle fate che causano sogni d’amore . Amante dei giochi di parole, ha la lingua sciolta e fa un po’ da collante tra i vari personaggi. Non a caso il suo nome discende da Mercurio, il dio messaggero degli antichi romani. Lui è l’anello di congiunzione tra la commedia sognante e la tragica quotidianità. A partire dalla sua morte, l’atmosfera dell’opera cambia, si incupisce. C’è un’aria di rassegnazione che fluttua sopra i personaggi, come se qualcuno avesse risucchiato via la luce dal loro mondo, lasciando solo grigiore.

 Il secondo elemento è correlato non alla morte degli amanti in sé, ma allo scopo che questa assume agli occhi di chi sopravvive (e degli spettatori). Il sacrificio dei due amanti, al di là dell’evento tragico, ha la funzione di restaurare l’ordine sovvertito nella città. Sebbene al prezzo delle vite dei due giovani amanti, una faida ormai antica cessa per sempre, permettendo così di evitare ulteriori scontri che avrebbero portato ad altri morti e altro dolore. Romeo e Giulietta dovevano morire affinché ci fosse la pace generale. Il singolo eroe che si sacrifica per purificare la comunità è un archetipo arcaico che si ripresenta in ogni tragedia shakesperiana. Le tragedie del bardo, infatti, non si concludono con una morte, come vorrebbe Byron, ma con l’instaurarsi di un nuovo ordine sulle ceneri del vecchio, di cui vediamo solo uno spiraglio.

Lorenzo La Rovere

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