Salvator Rosa, artista ribelle dall’animo quasi pre-romantico

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Di Redazione Metropolitan

Nato a Napoli nel 1615, Salvator Rosa subisce fin da subito il fascino delle arti. Nonostante, infatti, fosse destinato ad intraprendere una carriera ecclesiastica o da avvocato, è condotto nel mondo dell’arte grazie allo zio materno Paolo Greco, che ne favorisce l’interesse.

Il “Salvator delle battaglie”

Iniziato il suo primo apprendistato nella stessa città natale, presso le botteghe di Aniello Falcone, il giovane Salvator Rosa inizia ad appassionarsi ad alcuni soggetti di genere. Viene, così, conosciuto per i suoi paesaggi, caratterizzati da una natura aspra e selvaggia, e soprattutto per i dipinti con scene di battaglie, di una cruda espressività. Le tonalità predilette sono molto cupe, con forti contrasti luministici. Per queste ragioni, l’artista spesso non si vede apprezzato per come merita. Probabilmente troppo innovativo per la sua epoca, il suo stile fu successivamente considerato di gusto pre-romantico.

Battaglia eroica, Salvator Rosa. PhotoCredit: dal web.
Battaglia eroica, Salvator Rosa. PhotoCredit: dal web.

L’arrivo a Roma

Nonostante la svendita delle sue prime opere, viene comunque notato da Giovanni Lanfranco, il quale gli indica la strada verso Roma, dove avrebbe potuto meglio affermarsi. Nel 1638, quindi, Salvator Rosa si trasferisce definitivamente nella città papale. Qui, “protetto” sotto l’influenza del cardinale Francesco Maria Brancaccio, si inserisce nel panorama artistico cittadino attraverso la realizzazione dell'”Incredulità di San Tommaso“, oggi a Palazzo dei Priori.

In quegli anni, Salvator Rosa si avvicina anche al teatro, cimentandosi nella recitazione, e si appassiona alla scrittura. A tal proposito, inizia ad elaborare componimenti di natura satirica che provocano lo scherno da parte dell’establishment culturale romano, sollecitando le attenzioni dell’ormai affermato Gian Lorenzo Bernini. Probabilmente i contrasti con quest’ultimo lo spingono ad abbandonare temporaneamente la città per tentare di affermarsi a Firenze. Qui riesce ad emergere come attore e scrittore delle Satire, che compone in terzine.

Salvator Rosa: tra mito e magia

Del periodo fiorentino, sono famosi soprattutto i dipinti con soggetti esoterici. Benché l’interesse per queste tematiche fosse emerso già dalla fase partenopea, è adesso che la realtà occulta e stregonesca diviene centro delle sue riflessioni artistiche. Oltre, infatti, alle rappresentazioni allegoriche, come La Fortuna, Rosa dipinge di streghe, magia, incantesimi. Un gusto, quest’ultimo, di origine nordica: lo stile cupo e descrittivo non fa che richiamare la curiosità dell’artista nei confronti dell’immaginario nord-europeo.

La strega, Salvator Rosa. PhotoCredit: dal web.
La strega, Salvator Rosa. PhotoCredit: dal web.

Gli ultimi anni di Salvator Rosa

Nel 1650, il pittore torna nuovamente a Roma dove decide di emanciparsi dai vincoli di dipendenza cortigiani. Ciò che adesso ritiene necessario è il rapporto con il pubblico: espone, dunque, annualmente le sue opere alle mostre di San Giovanni Decollato e al Pantheon, rendendosi un pittore indipendente rispetto alle correnti artistiche del tempo. Inizia a rifiutare commissioni, richieste, scegliendo autonomamente i soggetti e il prezzo. Firenze era stata fondamentale affinché Rosa acquisisse sicurezza e consapevolezza della sua arte. Conscio delle distanze tra il suo stile (e anche i contenuti) e quello degli artisti barocchi, non ha, ora, più la necessità di essere sostenuto dal mecenatismo romano.

Salvator Rosa muore infine nella città pontificia il 16 marzo 1673, dopo aver trascorso una vita a ribellarsi alle etichette, cercando di affermare la propria personalità artistica e la propria visione della realtà, apparentemente inappropriata per quel periodo storico.

Salvator Rosa: il successo postumo

Dimenticato in Italia subito dopo la sua morte, Salvator Rosa non godette dell’apprezzamento che avrebbe sperato per i suoi quadri. Probabilmente, le motivazioni di questo disinteresse erano molteplici: lo stile tetro, che sembrava spesso fare richiamo alla morte e i soggetti, quasi atipici per il panorama italiano, sono alcune di queste. Inoltre, il pittore non dipinse mai affreschi: le sue opere sono tele vendute a collezionisti privati. Non si occupò, dunque, di grandi opere pubbliche, che gli artisti barocchi eseguivano abitualmente.

Porto con rovine, Salvator Rosa. PhotoCredit: dal web.
Porto con rovine, Salvator Rosa. PhotoCredit: dal web.

Le sue capacità furono riconosciute, infine, soltanto nel ‘900, quando furono ripescati gli artisti del dissenso. Se ben si guardano le sue opere, in effetti, non appaiono tipiche barocche. Sembra, piuttosto, di osservare quadri moderni: la straordinaria potenza dei dipinti di Rosa è incredibilmente più affine alla corrente pre-romantica, ottocentesca. Come altri pittori del 1600, infine, il napoletano dovette soffrire molto il peso del gusto barocco, così monopolizzante. Oggi, tuttavia, Rosa ha ottenuto giustizia per le sue realizzazioni pittoriche: le sue opere sono, infatti, apprezzate nelle collezioni museali di tutto il mondo.

Martina Pipitone

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