Nato il 13 aprile 1906, Samuel Beckett è stato uno dei drammaturghi più rivoluzionari del XX Secolo.
Cresciuto a Foxrock, un piccolo centro nei pressi di Dublino, in Irlanda, mostrò sin dall’adolescenza segni di un carattere insolito rispetto a quello dei suoi coetanei.
Sempre alla ricerca della solitudine, era un giovane tormentato da un forte malessere interiore che cercava di colmare gettandosi a capofitto nello studio della letteratura. Approfondì in modo quasi ossessivo Dante e ne divenne un vero esperto.
Peregrinò a lungo per tutta l’Europa, per poi trasferirsi definitivamente a Parigi nel 1937.
Lì compose diverse opere tra cui il suo più noto capolavoro Aspettando Godot.
Nel 1969 ricevette il premio Nobel per la letteratura, vennero così finalmente riconosciute le sue grandi doti di autore e drammaturgo.
Il Teatro dell’assurdo
Samuel Beckett fu uno dei più importanti protagonisti di quello che il critico Martin Esslin definì “Teatro dell’assurdo”.
Sviluppatosi tra gli anni Quaranta e Sessanta, il teatro dell’assurdo rifiuta ogni tipo di drammaturgia tradizionale.
Gli eventi che si susseguono nelle rappresentazioni sono del tutto casuali, non sembrano seguire un filo logico.
Gli autori di questo teatro si soffermano sulla presentazione della condizione umana e rompono con la coerenza del racconto.
«Il Teatro dell’Assurdo ha cessato di discutere circa l’assurdità della condizione umana; esso la presenta semplicemente in essere; cioè in termini di concrete immagini sceniche».
Martin Esslin, Teatro dell’Assurdo, 1961
Aspettando Godot, l’opera maestra di Samuel Beckett
Aspettando Godot venne messo in scena per la prima volta il 5 gennaio 1953, al Théâtre de Babylone di Parigi.
Samuel Beckett decise di scrivere il dramma in francese: «perché l’inglese era troppo facile. Volevo la disciplina» così l’autore commentò la propria scelta.
L’opera parla di due vagabondi, Vladimiro ed Estragone, che fermi sotto un albero ad un crocevia attendono l’arrivo di Godot. Chi sia Godot loro non lo ricordano, e non ricordano neanche per quale motivo lo stiano aspettando. Alla fine del secondo atto sarà un bambino ad annunciare che Godot non verrà più. Beckett non ha mai spiegato cosa simboleggiasse questa fantomatica figura, molti hanno ipotizzato che stesse a rappresentare una vana salvezza in cui si tende a sperare.
In questo dramma l’aspetto tragico è fondamentale, non assume mai un tono serioso, anzi si traduce in un grottesco al limite del comico. I due protagonisti sono personaggi colmi di inerzia e solitudine.
I dialoghi sono del tutto sconnessi tra loro e possono apparire allo spettatore privi di senso.
Tutta l’opera è basata su un gioco di simmetrie, due atti in cui si ripetono gli stessi temi narrativi geometricamente.
Chi è dunque Godot? Non esiste risposta questa domanda, quel che è certo però è che l’intero dramma non è altro che una metafora dell’esistenza umana.
Ludovica Nolfi
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