Tommaso Moro, nome italianizzato di Thomas More, scrittore e uomo politico inglese. Canonizzato dalla Chiesa cattolica nel 1935 da Papa Pio XI ed è commemorato il giorno 22 giugno. E’ venerato come San Tommaso Moro sia dalla Chiesa Cattolica che dalla Chiesa Anglicana.
Storicamente è ricordato per il suo forte e fermo rifiuto della rivendicazione di Enrico VIII di proclamarsi capo supremo della Chiesa d’Inghilterra. Questa decisione mise fine alla carriera politica di Moro conducendolo alla pena capitale con l’accusa di tradimento. Nel 2000 papa Giovanni Paolo II lo ha dichiarato patrono degli statisti e dei politici.
Tommaso Moro, “muoio fedele servo del re ma prima servo di Dio”
Nasce a Londra il 7 febbraio 1478. Segue le orme del padre Sir John More, avvocato e giudice di successo, intraprendendo anch’egli la professione di avvocato. Nel corso della sua vita si guadagna fama a livello europeo come autore di scritti di stampo umanista oltre che occupare numerose cariche pubbliche, compresa quella di Lord Cancelliere d’Inghilterra.
Dalla moglie Jane Colt ha tre figlie e un figlio. Alla sua morte, si risposa con Alice Middleton. Ha imparato a Oxford l’amore per i classici antichi e lo condivide con Erasmo da Rotterdam, spesso ospite in casa sua. Conia il termine «utopia», immaginando una società ideale nella sua opera più famosa, appunto “Utopia“, del 1516. Viene condannato alla pena capitale per l’opposizione alla volontà di re Enrico VIII di farsi capo supremo della Chiesa d’Inghilterra.
Enrico ripudia Caterina d’Aragona (moglie e poi vedova di suo fratello Arturo), sposa Anna Bolena, e giunge poi a staccare da Roma la Chiesa inglese, di cui si proclama unico capo. Per Tommaso Moro, la fedeltà esige la sincerità assoluta col re, anche a costo di irritarlo, pur di non mentirgli. Rimane fedele alla sua idea. La fede gli vieta di accettare quel divorzio e la supremazia del re nelle cose di fede e così si lascia condannare a morte senza piegarsi. Decapitato il 6 luglio 1535, venne beatificato nel 1886 e canonizzato il 22 giugno 1935
Utopia, ovvero dell’ottima forma di stato e della nuova isola di Utopia
“Utopia” è un’opera suddivisa in due libri. Nella prima parte, Moro presenta l’Inghilterra del XV secolo. Nella seconda parte, invece, avviene la narrazione del viaggio che Raffaele Itlodeo, viaggiatore-filosofo, compie per primo nell’isola di Utopia. l titolo dell’opera è un neologismo coniato da Moro stesso e presenta un’ambiguità di fondo. “Utopia“, infatti, può essere intesa come la latinizzazione di due termini greci che possono significare sia ottimo luogo che non luogo, luogo inesistente o immaginario.
L’occupazione comune a tutti i cittadini è l’agricoltura, per la quale vengono educati sin da piccoli. Oltre a ciò ognuno si dedica ad un particolare mestiere, e nel tempo libero si dilettano in studi letterari. La guerra è profondamente detestata e viene utilizzata solamente per difendere il territorio, per combattere i nemici che abbiano invaso la terre di amici. Ogni regione o singola città possiede una propria religione ma esiste una divinità eterna e inspiegabile riconosciuta da tutti chiamata “Mitra”. A lui attribuiscono l’origine e la fine di tutte la cose. Chi non è tollerante verso le altre religioni viene punito con l’esilio o la schiavitù.
In quest’opera il concetto di proprietà privata è totalmente rifiutato, considerata qualcosa di egoista e che porta al conflitto. La società descritta da Moro in quest’opera è chiaramente impossibile da applicare ad una società reale. Sarebbe certamente positivo un mondo in cui tutti pensano al bene comune piuttosto che a quello provato, ma è un’idea tanto ideale quanto impraticabile.
“Tutto il tempo che non è strettamente necessario agli interessi dello Stato dovrebbe essere usato dai cittadini per sottrarsi alla schiavitù del corpo, dedicandosi alla libertà dello spirito e alla cultura.”
Ilaria Festa
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Rivista Digitale n.03