Scrittrici algerine al Salone del Libro di Algeri

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Di Sara Rossi

Nei momenti di crisi, come editrice mi sono chiesta spesso a che servisse pubblicare testi, cosa può mai cambiare“. A parlare è Selma Hellal, una delle fondatrici della casa editrice Barzakh presenti al Salone del Libro di Algeri. Con molte altre editrici o scrittrici algerine, Selma Hellal riempie la più grande fiera del libro del continente africano e del mondo arabo. La loro presenza è il simbolo della consapevolezza in crescita delle donne. Case editrici, riviste, radio che si rivolgono alle donne. Si crea una rete, si difendono i diritti, si fa quella nobile rivoluzione che passa per la cultura.

Il diverso punto di vista delle scrittrici algerine

Arrivato alla sua venticinquesima edizione, nessuno si sarebbe aspettato tanta affluenza al Salone del Libro di Algeri. Invece i numeri hanno sorpreso in positivo: più di un milione di visitatori e visitatrici. “Un flusso regolare di persone curiose, interessate” racconta Selma Hellal. Tra queste, molte donne che possono trovare tra gli stand chi lotta anche per loro.

“Le donne hanno un punto di vista differente. La narrazione dell’indipendenza algerina l’hanno fatta gli uomini, nonostante le donne abbiano avuto un ruolo fondamentale durante la battaglia. La prima che ha cominciato a scriverne è stata Zouhour Wanissi, prima dell’indipendenza, dalla madrasa al hurra (scuola libera) dove si insegnava l’arabo di nascosto.”

Spiega l’arabista Jolanda Guardi. Un nuovo punto di vista, quindi, quello offerto dalle scrittrici algerine, che possono ora trovare chi ascolti la loro voce. Proprio da una testimonianza, da un racconto, da una storia sono nate molte delle esperienze editoriali che si rivolgono alle donne algerine. È il caso proprio di Selma Hellal, che fonda la propria casa editrice dopo aver letto un testo sullo stupro scritto da Souad Labbize.

Trovare il proprio posto: quando a indicarlo è un libro

Si chiama “La Place” in francese e “El Blasa” in arabo algerino la rivista femminista bilingue fondata da Maya Oubadi. Il numero zero è stato lanciato l’8 marzo e risponde a un vuoto nel panorama editoriale. A mancare è ancora troppo il femminismo, uno spazio per il pensiero femminile, esperienze di donne. La scelta del titolo proviene da una bellissima storia che passa per un libro: si ispira a “Il posto” di Annie Ernaux. L’autrice è letta nel mondo arabo ma il sostantivo in arabo standard che ne traduce il titolo, al makan, fa meno presa rispetto a quello in arabo algerino: el Blasa. Maya Oubadi e la co-fondatrice Saadia Gacem non si fanno sfuggire il gioco di parole con uno stereotipo. Blastek fil cusina, “il tuo posto è in cucina” viene spesso ripetuto alle donne algerine.

“El Blasa” vuole affermare il vero posto delle donne: quello in cui far sentire la propria voce. “Il femminismo l’ho scoperto leggendo”, racconta Oubadi, “non vedo perché ad altre persone non possa succedere la stessa cosa con La Place”.

Non solo lettere: la rivoluzione passa anche per la parola

Prima ancora dell’ingresso al salone, uno stand di una web radio che informa sulla violenza online. Si tratta di “Voix des femmes“, “Voci di donne”, che presidia il salone e che porta avanti un sondaggio proprio su insulti sui social o ricatti ricevuti dalle ragazze. Ascoltare la voce delle altre donne è importante tanto quanto poter usare la propria. Sembra che le ragazze stiano iniziando a difendersi, rispondendo ai propri aggressori. “Sono più consapevoli. Sono femministe senza sapere di esserlo” chiosa Samira Dehri, una delle fondatrici della radio.

Eppure gli insulti, i rischi, il coraggio obbligato fanno parte di quell’unica strada da percorrere perché le donne algerine trovino la propria dignità. Si parte dal pubblicare testi e si arriva a donne consapevoli. E lo dice tra un’interruzione e l’altra dei lettori Selma Hellal: “Era il mio modo di partecipare alla rivoluzione“.

Sara Rossi