Sergio Castellitto, cattivo poeta, Lucariello e attore straordinario

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Di Federica De Candia

Quando Sergio Castellitto era il Vate, in uno dei suoi ultimi lavori girati, in quel colore volutamente ‘seppia’ per rimarcare l’antico nelle scene, non sembrava solo una sagoma; con lo stesso profilo, la nuca, traeva in inganno, presentandosi legittimamente vero. I misteri, gli eccessi della vita di D’Annunzio, l’autore italiano più discusso del Decadentismo. Amato, odiato, osannato e mortificato. Eternamente in bilico tra riprovazione e compiacimento. Castellitto lo ha raccontato nel nostro cinema.

Ritto, mani dietro la schiena e lo sguardo serio, assorto. Il portatore di verità assolute ritratto nel suo ego; il veggente di sensazioni arcane e invisibili, si muove con la stessa flemma di Sergio Castellitto. Lui che viveva con orgoglio la propria, eccezionale sensibilità estetica. Rifiutando i principi morali in nome dell’esasperato culto dell’arte e del piacere. Un peccato originale, il suo, pulito, lindo. Fatto di merletti, di minuzie decorative, di agi, di raffinatezze, di appuntamenti con il suo the. L’arte del buon gusto nelle vene. E le doti incredibili, prima di tutte, o forse susseguente, quella letteraria. Le donne, a fargli compagnia. Ma incapaci di colmare la solitudine di fondo della sua vita. Arriverà allo spettatore la mesta calma di “Un uomo solo anche in mezzo la folla“. Istrionico nell’amore con la Duse. Ma grazie a certe dediche, ai gesti eclatanti, a quelle “fonti” di passione, oggi leggiamo delle liriche, odi al ritmo della prosa; non al sapore di lettere, di celeri carteggi affrancati. Forme latineggianti, espressioni eleganti in grado di agire anche a livello fonico. Un’abilità consumata di D’Annunzio. Là dove, non è censura, è pura poesia per le orecchie. E, viceversa, dove il divieto incombe, il trasalimento ringrazierà la poesia.

Castellitto vero come ‘loro’

Fausto Coppi, Padre Pio; su pedali o con un rosario in mano, incarna alla perfezione la sua interpretazione. E deposte le vesti continua la somiglianza, in quell’illusione che ha stregato il pubblico, incapace di distinguere tra personaggio e Castellitto. A Natale lo abbiamo visto, una roccia pronta a intenerirsi, nel ruolo che fu di Eduardo De Filippo, in “Natale in casa Cupiello“. “Voglio i tubetti con i fagioli“, ripete da napoletano convinto. Senza timore di assomigliare poco, o troppo, al divino predecessore. Castellitto recita il ruolo, senza pregiudizi, o competizione, ma immancabilmente con la sua arte. Rievoca quell’antiche scene, che hanno tepore da poter scaldare i cuori. Lui che con sciarpe, mutandoni di lana, sotto un manto di coperte dentro il letto, si ‘scetava’ al risveglio tremante di freddo.

Quando frequentavo l’accademia andavo a vedere Eduardo all’Eliseo, con la tessera sconto degli studenti, ed era come incontrate una rockstar. Era quello che avremmo voluto essere o diventare”. Il suo ‘segreto’, si chiama così ma è un qualcosa che a che fare sempre con l’umiltà, è il sentirsi ancora innocente; come Luca Cupiello, Lucariello amabilmente detto, che arma il presepe, colla scaldata e sugheri da assemblare. Uomo, regista, attore affermato, ma vorrebbe conservare intatta ‘l’inadeguatezza’. Quella che fa restare giovani; quell’imbranato emotivo che si ha dentro. Che più sembra ti faccia sentire emarginato, più ti rende autentico.

Federica De Candia. Seguici sempre su MMI e Metropolitan Cinema!