L’aborto in Italia è un diritto garantito dalla Legge 194 del 1978, per la quale la donna può liberamente decidere di interrompere la gravidanza, entro la 12 settimana di gestazione, per motivi di salute, economici, psicologici, familiari e sociali. Motivi, quindi, legati alla volontà e alla scelta della persona e che riguardano lei e nessun altro. Ma vediamo come, a 44 anni dalla sua emanazione, questa legge venga di fatto applicata.
Aborto: è veramente garantito?
Partendo con l’analizzare il tasso di obiezione di coscienza, notiamo come nel nostro paese sia piuttosto alto: in 72 ospedali italiani tra l’80 e il 100% del personale medico si dichiara contro l’aborto, rendendo l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza non immediato e a volte difficoltoso. Guardando all’aspetto sociale, sembra in alcuni casi essere ancora un tabù e viene spesso fatta passare come una praticata utilizzata costantemente e incoscientemente al posto di altri metodi contraccettivi preventivi.
Nell’ultima Relazione annuale al Parlamento sull’interruzione volontaria di gravidanza, trasmessa dal Ministero della Salute, emergono dati interessanti. L’analisi – effettuata sui dati del 2020 – mostra come il tasso di abortività sia pari al 5,4 per 1.000, con una riduzione del 6,7% rispetto all’anno precedente. In questo modo, L’Italia detiene uno dei valori più bassi a livello internazionale, con un trend sempre più in diminuzione.
Prospettive dopo il 25 settembre
Con il Centro-Destra in vantaggio nei sondaggi, la corretta applicazione della 194 potrebbe subire ulteriori complicanze. Il recente caso delle Marche ne è un esempio: seppur non negato, ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza è sempre più complicato, tanto da spingere le donne a migrare in altre regioni per veder applicato il loro diritto.
Questo accade perché la Giunta della Regione ha deciso di non applicare le linee guida, aggiornate nel 2020, emanate dal Ministero della Salute. Queste prevedono la possibilità di aborto farmacologico, in consultorio o in ospedale, fino alla nona settimana di gestazione, ma nelle Marche si fa ancora riferimento alle vecchie indicazioni, quelle del 2009, che vedevano il limite fissato a sette settimane.
Martina Cordella