Sorry We Missed You, la recensione del nuovo film di Ken Loach

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Di Redazione Metropolitan

“Sorry we missed you” del regista britannico sarà nelle sale dal 2 gennaio. Lo abbiamo visto in anteprima per voi

La famiglia protagonista di “Sorry we missed you” – Photo Credit: indiewire.com

“Sorry we missed you” dipinge un fedele quadro della condizione precaria di una moderna famiglia di Newcastle, nel nord dell’Inghilterra. Ricky, la moglie Abby e i loro due figli combattono contro i debiti, dopo che il crack finanziario del 2008 ha impedito ai coniugi di sottoscrivere il mutuo della loro nuova casa. Da quel momento la loro vita è cambiata. Lui (Kris Hitchen), un determinato e testardo stacanovista, passato da un lavoretto saltuario all’altro e lei (Debbie Honeywood) un’assistente domiciliare, amorevole e assai paziente badante per invalidi e anziani. Entrambi lottano alla giornata per garantire ai propri ragazzi un futuro, a costo tuttavia di non riuscirli a vedere se non in tarda serata, per via dei duri orari di lavoro. Ma se all’inizio sembra che una nuova opportunità si profili all’orizzonte, quando l’acquisto di un furgone offre a Ricky la possibilità di lavorare come corriere per una ditta in franchising, ecco che in realtà le occasioni per vedersi si restringono e inevitabilmente, gli attriti e incomprensioni aumentano. In particolar modo, sarà Seb (Rhys Stone), il figlio maggiore di 15 anni, a lasciarsi consumare dalla propria passione, i graffiti, e a ricercare nella notte lo sfogo per la collera che gli ribolle dentro. Così, mettendo in secondo piano la scuola, otterrà dai suoi l’attenzione che voleva, ma espressa in litigi e scintille. Mentre la piccola e sveglia Liza (Katie Proctor) svolgerà il ruolo di paciere all’interno della famiglia, aiutando lo stesso padre a far fronte alle sfide che il suo freddo e famelico datore di lavoro, Maloney (Ross Brewster), pretenderà da lui.

Lo spettatore viene messo di fronte al duro mondo delle aziende di trasporto merci e le loro ripercussioni sul lavoratore e la famiglia

Il capo di lavoro Maloney si presenta come una persona spietata, totalmente insensibile alle questioni personali dei propri dipendenti, lasciati liberi di gestire la propria attività tanto quanto abbandonati nelle proprie difficoltà – Photo Credit: thefilmera.com

Ken Loach si è sempre distinto per i suoi film a sfondo politico, dedicando la propria carriera cinematografica al racconto delle condizioni di vita dei ceti meno abbienti, descritte e denunciate da un’ottica politica “radicale”, della cosiddetta Hard Left laburista, sensibile alle questioni proletarie. Attivista politico in organizzazioni sindacaliste trotskiste, Loach, con il tempo, ha lasciato che la propria opera filmica si facesse espressione e strumento di lotta e critica nei confronti delle ingiustizie e disuguaglianze socio-economiche del proprio paese (facilmente trasponibili in altri contesti nazionali). L’autore ha filmato diverse pellicole premiate e riconosciute a livello globale, fra cui “Cathy Come Home” e “Kes”, lo straordinario “Terra e Libertà”, lo struggente “Il Vento che accarezza l’erba” (Palma d’Oro a Cannes 2006), il dolceamaro “La parte degli angeli” e l’ultimo “Io, Daniel Blake” (Palma d’Oro 2016). Ma con questo film, il regista scende nella questione dello sfruttamento lavorativo, sfruttamento che può essere costruito in più casi: con impieghi part-time, con contratti a zero ore, nella stessa cosiddetta Gig Economy, dei lavoratori autonomi o a chiamata dalle agenzie. A proposito il regista ha detto:

Il tema dello sfruttamento è nuovo nel senso che oggi viene utilizzata la tecnologia moderna per farlo. Una tecnologia sofisticata come quella che è nel veicolo del nostro protagonista, a cui detta i percorsi, che consente al cliente di sapere esattamente dove egli si trovi e al “capo” se il suo dipendente è in orario o ritardo sulla consegna del prodotto”.

Mentre lo sceneggiatore Paul Laverty ha ricordato l’approccio quasi documentaristico al tema:

Ho svolto la maggior parte delle ricerche e ho incontrato alcune persone che lavorano in simili condizioni. Spesso gli autisti erano reticenti a parlare, per non correre il rischio di perdere il posto, ma volevamo che il film fosse il più fedele possibile alla realtà, tant’è gli autisti del film sono quasi tutti autisti o ex autisti”.

Ricky e Liza in un’emblematica scena del film. Dopo una frenetica giornata di lavoro, padre e figlia si prendono una pausa nella calma dei propri sguardi – Photo Credit: takeoneaction.org.uk

Di cosa ci vuole parlare Ken Loach?

Insomma diverse sono le domande che solleva il film. Favorire il sistema dell’acquisto online e delle spedizioni, sapendo che i loro lavoratori possono arrivare anche a 14 ore al giorno di attività, è davvero migliore rispetto al recarsi in un negozio e parlare con il venditore? Vogliamo davvero un mondo in cui le persone lavorano sotto una simile pressione, con ripercussioni devastanti sulle loro amicizie e famiglie? Questa evoluzione del mercato è il risultato della concorrenza selvaggia nel ridurre i costi e ottimizzare i profitti. Ma in fondo, come lo stesso Ken Loach ci ha detto mercoledì:

Alla fine tutto questo non conta a meno che il pubblico non creda alle persone che vede sullo schermo, non le abbia a cuore, non sorrida con loro e non condivida i loro problemi. Sono le loro esperienze vissute, riconosciute come autentiche, che dovrebbero toccarci (e il film riesce alla perfezione a creare un rapporto intimo ed emotivo fra noi e i personaggi, così vicini alle situazioni italiane)“.

Il film riesce ad equilibrare abilmente il tema socio-politico, con le esperienze di lavoro di Ricky e Abby, e il tema dei rapporti nelle famiglie odierne, spesso messi in discussione dai troppi impegni e dalla stessa tecnologia. Ken Loach decide di aprirci al mondo “popolare” britannico proprio per far sì che la denuncia e la critica al sistema lavorativo delle nostre società arrivi ancor più forte. Sono riuscito facilmente ad immedesimarmi nei personaggi, a percepire le pressioni dei genitori, le loro paure sul futuro dei propri figli, le incertezze nei propri progetti. Così come sono riuscito a immedesimarmi nelle insicurezze degli stessi ragazzi, costretti dalle condizioni economiche della famiglia a compiere delle rinunce, ad affrontare determinate sfide e a prendere importanti decisioni per la propria vita. Insomma, Ken Loach riesce ancora una volta a raccontare con leggerezza, ma un estremamente realistico occhio, il tema del precariato odierno, conquistandoci con le passioni e vicende dell’intimo mondo famigliare.

Qui un assaggio con il trailer…

Diego Bianchi e Ken Loach durante l’intervista – Foto di Federica Sposato
Il regista Ken Loach alla proiezione del suo nuovo prossimo film – Foto di Federica Sposato

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