Soulstice recensione in breve | C’è tanto di tanti videogiochi dal grande valore tecnico, artistico, ludico e storico in Soulstice. Lo studio di sviluppo ha evidentemente attinto a piene mani dal pozzo di QUEL tipo di action frenetico, alla Bayonetta, Devil May Cry; saldando poi le giunture tra le idee originali e quelle derivative con un materiale solido “made in Greek”: God of War, quello “vecchio”. La direzione artistica guarda, a mio avviso, quasi più al Dio della guerra che agli ovvi Berserk e Claymore. Arrivando al punto che Soulstice stesso è ossessionato dal confronto, bramoso di approvazione dai fan che non faranno nessuna fatica a riconoscerlo; ora nel ritmo, ora nel design di un nemico o Boss. Persino nel funzionamento di un ponte azionato da una leva, che mentre lo attraversiamo fa allontanare la videocamera dal giocatore per inquadrare meglio un elemento dello sfondo.
Lato gameplay, poi, è tutto un fiorire di citazioni e rimandi ancor più marcati, con qualche sbavatura qua e là. Nonostante l’impegno e la determinazione, infatti, una prima opera così action può sembrare solo apparentemente più semplice di altre scelte. Anche perché, come dimostra il mio primo paragrafo qui in alto, volenti o nolenti date scelte progettuali, per quanto semplici siano estrapolate dal contesto, si traducono spesso inevitabilmente in citazioni.
Attenti però: non pensiate che Soulstice si limiti a questo, al citazionismo. Né crediate che semplifichi più del necessario, o non riesca a recapitare il giusto livello di adrenalina. Dove sbaglia, quando lo fa, lo fa per semplice inesperienza e mancanza di levigatura. Come se presi dal desiderio di confezionare un videogioco action che non sfigurasse nemmeno davanti ai mostri sacri del genere, fossero stati presi da un pizzico di fretta. Che non rovina il risultato finale eh. Semplicemente, fa sperare in un sequel che lo elevi ancora più in alto.
SOULSTICE RECENSIONE | TESTATO SU PS5
(Disponibile anche su PC e Xbox Series X|S)
VOTO: 8.5
+Direzione artistica ben concretizzata, anche se non troppo originale (Lore interessante)
+Gameplay potente e fisico, vario e molto tecnico
+Cita con eleganza tutti i mostri sacri del genere Action e Hack and Slash
-La telecamera non segue sempre l’azione con efficacia
-Le combo non sempre legano tra loro con fluidità
Soulstice Recensione, un ottimo gioco act-ehm d’azione
Potrei aver saltato questa informazione nell’intro-riassunto: Soulstice è un prodotto italiano. Ci interessa? Non ci interessa? Sia una risposta che l’altra, a seconda di cosa intendiamo con “interessamento”. Ci interessa, infatti, e anche molto che Reply Studio, da una Milano “piccina picciò” in ambito videoludico (così “piccina” che a Ubisoft Milano sono alla seconda collaborazione con Nintendo, per dire) abbia fatto vedere che tra un piatto di pasta e un mandolino sappiamo fare dei gran bei videogiochi. Possiamo ben compiacerci di questo risultato, dato che troppo spesso sentiamo di essere relegati più al ruolo di fruitori del media, che a quello di contributori.
Ma se ci interessasse a tal punto da soprassedere sui difetti, pure evidenti, del gioco, vorrebbe dire che in realtà non ce ne frega niente. Che qualunque cosa fosse uscita da quello studio a Milano l’avremmo guardata allo stesso modo, come una bandiera tricolore che sventola e basta. Mentre Soulstice di tricolore ha solo le mani che l’hanno estratto dal nero abisso dark-action che l’ha generato. Di Soulstice voglio che si sappia quanto mi è piaciuto e non mi è piaciuto per i motivi che vi illustrerò, e non che per la sua nazionalità. Della quale sono comunque molto felice, come ho già detto, anche senza basarci il voto finale sopra.
Solustice Recensione, non cercate solo le citazioni
Messo in chiaro il concetto “nazionale”, partirò con quello che è allo stesso tempo un difetto e un pregio: Soulstice è davvero tanto tradizionale. Nell’introduzione a questo pezzo ho già avuto modo di raccontarvi quanto lo studio di sviluppo sia stato abile a individuare gli elementi costituenti dei videogiochi da cui ha poi tratto ispirazione, sia lato tecnico e ludico, sia in ambito narrativo. Da un lato Soulstice non è quindi alienante per i fan dei succitati. Dico Bayonetta, Devil May Cry, God of War e via così. Però, rischia di non rappresentare una sorpresa sufficientemente grande. Il rischio è che i fan dell’una o dell’altra opera, pur riconoscendola in Soulstice, non apprezzino il taglio della storia o il suo svolgimento. I suoi ritmi magari. Finendo per non dare a Soulstice l’attenzione che meriterebbe perché “si avvicina a X, ma non è X”.
Se, però, riuscirete a distaccarvi da questa mentalità fin troppo “chirurgica” e dissezionante persino in fase di recensione per Soulstice, sarà impossibile non entusiasmarsi a ogni colpo inferto con una delle sei armi che avremo a disposizione. Non tutte immediatamente a disposizione del giocatore, ovviamente, ma anzi da sbloccare di ondata in ondata avanzando nella trama. Il loro unlock è sempre funzionale alla storia raccontata, che un po’ nel rispetto della tradizione, un po’ guardando al mondo soulslike (tranquilli, stiamo parlando di STORIA non GAMEPLAY) è molto semplice e chiara.
Alla lore è così lasciato il compito di districarsi tra documenti e pagine di (buon) testo da leggere nei menù, in cui sono racchiusi eventi oscuri e tempi remoti che hanno plasmato la realtà attuale; nella quale paladini ed entità spiritiche formano delle Chimere combattenti che respingono forze maligne relegate in una dimensione specchio. Quando qualcosa va storto e le Chimere iniziano a cadere una dietro l’altra di fronte a un nemico misterioso, solo Briar e Lute, un paladino Chimera composta di due sorelle, possono ribaltare la situazione in favore del bene. Anche se i poteri sopiti in Briar, che Lute disperatamente tiene sotto giogo, potrebbero non essere così “benefici”…
Ode alla telecamera fissa | Se siete ormai abituati ai solus e alla loro telecamera mobile (per quanto sappiamo bene quanto non sia una soluzione perfetta) sappiate che in Soulstice potete scordarvela. Preparatevi, invece, a un viaggio indietro nel tempo agli antichi fasti dei primi Devil May Cry. Con una telecamera la cui posizione e campo focale sono scelti a monte dagli sviluppatori. Oggi come allora, a volte funziona, a volte no. Ma nel 100% dei casi rappresenta comunque un viaggio nel tempo non per forza deleterio alla pura azione. Sulla quale, liberi dal pensiero della telecamera, possiamo così concentrarci totalmente.
Combatti di cuore, o di testa?
Le combo con cui esibirsi sono una diretta conseguenza del legame descritto poc’anzi. Che, a ben pensarci, scrive le regole e detta persino i ritmi in alcuni combattimenti, nonché nel corso dell’esplorazione all’interno di ogni livello. Se Briar rappresenta il lato pragmatico e fisico, Lute contribuisce con un’innata bontà d’animo e una profonda spiritualità (certo, è un fantasma). Il che, giocando, si traduce in una serie di evoluzioni e colpi fisici inferti da Briar con le sei armi di cui sopra.
Intanto, Lute pensa alla difesa, ai contrattacchi e a eventuali potenziamenti temporanei. Sembra quasi che si sia operata un’ibridazione tra combattimento Hack and Slash tradizionale e pestaggio action “a la Batman Arkham”. Ogni nemico, infatti, ha i suoi tempismi specifici di attacco. Che se letti sfruttando gli appositi segnali posti sul capo del nostro personaggio, possono essere anticipati da Y con una pressione a tempo del pulsante apposito, e un contrattacco.
Gli effetti possono variare in base ai potenziamenti operati su Lute scegliendoli da uno skill tree abbastanza vasto. All’inizio, consistono in un semplice stun di pochi secondi. La stessa cosa, ma senza albero delle abilità, vale anche per Briar. Che può parimenti potenziare le sue capacità offensive sbloccando azioni, combo e movenze varie. E il bello è che più si avanza, più le azioni compiute dalle due sorelle necessitano di coordinazione reciproca e di precisione.
Soprattutto se giochiamo alle difficoltà più elevate, e puntiamo ai punteggi massimi. In tal senso è ottima anche la durata di ogni livello e di ogni combattimento, che operano come sprone a rigiocare per migliorare e diventare sempre più “virtuosi della spadona”. In breve: se solo le fasi di attacco e le combo fossero maggiormente legate tra loro, avremmo tra le mani uno dei migliori sistemi di combattimento del genere tutto. Invece, purtroppo, più di qualche aggiustamento da fare in tal senso c’è ancora.