Stoner, il libro di John Williams uscito nel 1965, si è rivelato uno dei più grandi romanzi americani del ventesimo secolo. Eppure parla solo di un ragazzo che va all’università.
Ho letto Stoner durante le ultime vacanze estive. Attraversavo il classico blocco che ogni lettore affronta di tanto in tanto. Inizi un libro che però non ti prende quindi lo abbandoni e ne inizi un altro che farà la stessa fine del precedente. E così a catena fino a quando non trovi quello giusto.
Ma qual è quello giusto?
In molti consigliano letture leggere, non troppo impegnative, dalla trama semplice. Era in libreria già da un pò. Le recensioni erano tutte ottime, c’era chi parlava di capolavoro della letteratura contemporanea. È finito in valigia insieme alle sue recensioni.
Stoner è uno di quei libri che sembrano così semplici, quasi piatti tanto che sono lineari nella narrazione.
Ti aspetti sempre un climax che non arriverà mai eppure ti tiene li con la sensazione che qualcosa di assurdo e meraviglioso e spaventoso e angosciante stia per accadere.
Eppure non è così, o sembra che non sia così.
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Sin dall’incipit del romanzo, Stoner viene definito un ragazzo che si iscrive all’università a 19 anni che dopo 8 conseguirà il dottorato di ricerca e che insegnerà in quella stessa università in cui si è laureato sino alla sua morte.
Non scavalcando mai quella linea immaginaria che si era creato intorno. Senza lasciare mai il suo paese. Mantenendo la sua attitudine silenziosa, riflessiva, impulsiva quel tanto a farlo sentire vivo come la scelta di cambiare facoltà, a dispetto del volere dei genitori.
“I colleghi di Stoner, che da vivo non l’avevano stimato gran che, oggi ne parlano raramente; per i più vecchi il suo nome è il monito della fine che li attende tutti, per i più giovani è soltanto un suono, che non evoca alcun passato o identità particolare cui associare loro stessi o le loro carriere”.
Nonostante l’incipit poco promettente, l’autore riesce a rendere, attraverso un miracolo letterario, la vita di William Stoner assolutamente appassionante.
La verità, secondo lo scrittore Peter Cameron, è che si possono scrivere dei pessimi romanzi su delle vite emozionanti e che la vita più silenziosa, se esaminata con affetto, compassione e gran cura, può fruttare una straordinaria “messe letteraria”.
William Stoner ha decisamente vissuto una vita silenziosa, con intermezzi di un coro debole, con pochi acuti. A tratti direi quasi triste se si tiene conto di un matrimonio il cui fallimento era già prevedibile in fase di corteggiamento, quasi che avresti voluto urlargli di non farlo.
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Porgi altrove il tuo sguardo e non su una donna che, francamente, si rivela un mostro: perfida nella sua freddezza, assente nella sua costante presenza nella sua vita se non per tormentarlo.
Un lavoro che gli da poche soddisfazioni se non quell’unica sensazione di infinità che solo la prospettiva della conoscenza può dare.
Un amore extra coniugale, che poteva donargli un minimo di sollievo dal fardello che sin da ragazzo porta sulle spalle e che si tramuta in un corpo ricurvo, vinto dalle consuetudini sociali che vietano atteggiamenti poco consoni ad un’istituzione quale era quella universitaria americana di inizio secolo XX.
A rendere ogni pagina magnifica è la scrittura che rende nei minimi particolari anche la sensazione più superflua, il momento più angoscioso oppure una passeggiata nel parco dell’Università dei momenti memorabili.
Sensazioni che vengono trasmesse al lettore il quale crea un feeling particolare con i personaggi.
Angoscia, paura, rabbia, risentimento e passione accompagneranno il lettore attraverso questa storia semplice eppure emozionante.
a cura di Claudia Cangianiello