Cinema

“The Martian”, quanta scienza nel film di Ridley Scott?

Stasera dalle 21.20 su Italia 1 è in onda “Sopravvissuto -The Martian”, film del 2015 diretto da Ridley Scott che porta Matt Damon su Marte in un survival movie a sfondo fantascientifico. Ma parliamo davvero di fantascienza? Nel Terzo Millennio, con la nuova corsa allo spazio dominata da colossi come Musk e Bezos, quanta scienza c’è dietro un film come “The Martian”?

La trama

L’equipaggio dell’Ares 3, missione della NASA, è su una base spaziale su Marte, ma è costretto ad abbandonare la missione a causa di una violenta tempesta di sabbia. L’astronauta Mark Watney (Matt Damon) viene ferito dai detriti e, dato per disperso, viene lasciato sul pianeta rosso dai compagni che fanno velocemente ritorno sulla Terra.

Watney è invece “sopravvissuto” e si impegna a fare tutto quello che è in suo potere per sopravvivere e mettersi in contatto con il pianeta Terra. Con le sue capacità di ingegnere meccanico e botanico, comincia a coltivare patate, trova un modo per comunicare con la NASA e trovare un modo per tornare, anche lui, a casa.

La scienza di “The Martian”

Le tempeste di sabbia sono verosimili?

La storia di Watney nasce dalla tempesta di sabbia che costringe gli astronauti ad “abbandonare la nave”. Queste tempeste di sabbia possono in effetti verificarsi sul pianeta rosso, ma difficilmente avrebbero la forza necessaria per danneggiare le attrezzature della NASA. L’autore del libro da cui è tratto il film, Andy Weir, ne era ben cosciente, ma ha scelto di assecondare le esigenze della narrazione.

Ciclicamente su Marte vi sono delle tempeste che possono coprire aree grandi quanto un continente. Ogni 5 anni e mezzo (terrestri) queste tempeste “normali” possono degenerare in tempeste di sabbia, ma dato che i venti raggiungono massimo i 100 km/h (contro i 250 km/h dei venti forti che soffiano sulla Terra), che l’atmosfera di Marte è densa un centesimo di quella terrestre e chela pressione atmosferica è molto minore (sa 7 a 11 millibar contro i 1000 terrestri) queste tempeste non avrebbero la forza necessaria per creare danni concreti alla base spaziale.

Com’è bello passeggiar su Marte

Una delle cose meno realistiche del film di Ridley Scott è il modo in cui Watney e i suoi colleghi si muovono sul suolo marziano. Nonostante la forza di gravità di Marte sia un terzo di quella della Terra, gli astronauti si muovono in modo simile a come farebbero sulla Terra.

Per amor di verosimiglianza si sarebbero invece dovuti muovere quasi saltellando, galleggiando sul suolo in modo più simile a quanto accade sulla Luna.

Patate su Marte

Come già accennato, Matt Damon per sopravvivere si trova a dover coltivare l’unico vegetale rimasto nella dispensa: le patate. Come? Usando le proprie feci (e quelle imbustate del resto dell’equipaggio) per concimare il terreno marziano. Quest’iniziativa nata dal genio dell’ingegnere botanico non gioca più di tanto con la fantascienza.

Come riporta “Wired”, l’astrobiologo Thomas McCollom conferma infatti che il terreno marziano potrebbe prestarsi alla coltivazione, previa rimozione di alcune sostanze dannose (perclorati e perossido di idrogeno). Inoltre il suolo del pianeta rosso conterrebbe anche l’acqua necessaria a questo tipo di operazione

Per ogni metro cubo di terra marziana ci sarebbero infatti ben 35 litri d’acqua sotto forma di ghiaccio. E se, a fini puramente narrativi e performativi, Watney nel film si adopera per produrre acqua dall’idrazina (il componente essenziale del carburante per i razzi), sarebbe stato ben più facile e sicuro scaldare quella presente nel suolo.

Comunicazione Terra-Marte

Per mettersi in contatto con la NASA, a Watney viene in mente di andare a cercare la sonda inviata su Marte nel 1997, Pathfinder, che ha inviato le prime storiche immagini in alta definizione direttamente dal pianeta rosso. Dopo aver svolto questo straordinario servizio, Pathfinder si è spenta dopo qualche mese a causa dell’esaurimento della batteria.

L’idea dell’autore e del film è di far ricaricare la sonda dall’astronauta, per mettersi in comunicazione con l’agenzia spaziale. Al di là del fatto che la realizzazione di questa iniziativa sarebbe tecnicamente plausibile, è molto realistico il modo con cui viene rappresentata la difficoltà della comunicazione tra i due pianeti (a causa della distanza possono infatti trascorrere dai 6 ai 40 minuti tra l’invio e la ricezione dei segnali).

Debora Troiani

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