
Sono passati tre anni dalla scomparsa improvvisa del manager teatino Sergio Marchionne, eppure le riflessioni sull’industria italiana – tra futuro e declino – sembrano ancora sospese e controverse come allora. Forse per questo, il documentario “Sergio Marchionne” diretto da Francesco Micciché che va in onda il 17 dicembre alle 21,25 su Rai Tre più che narrare solamente la storia quasi mitologica di un imprenditore, sembra riaccendere le ceneri ignorate delle condizioni del settore. Il documentario va in onda per commemorare e presentare il ritratto dell’imprenditore abruzzese che ha rivoluzionato l’industria più importante d’Italia, ma soprattutto l’uomo che ha spogliato di pregiudizi l’immaginario del top manager. All’anteprima del documentario presso la Casa del Cinema di Roma nei giorni scorsi, erano presenti anche alcuni parenti teatini di Sergio Marchionne. Della famiglia Sablone, i cugini dell’imprenditore commentano il documentario, ricordando le sue origini a Chieti: “è da qui che è partito, quell’anima abruzzese se l’è portata sempre dietro. La riconosci nella semplicità, anche quando un uomo diventa un grande imprenditore”.
Il metodo del “maglione” di Sergio Marchionne: sfidare l’impossibile con la semplicità
Abruzzese d’origine e nordamericano di formazione, al vertice della più grande azienda manifatturiera italiana sull’orlo della bancarotta, in tre anni “fa il miracolo” e adotta un’imprevedibile strategia d’attacco sfidando l’impossibile. Le sue iniziative imprenditoriali e il suo stile di lavoro hanno suscitato passioni, diviso i media, anticipato la politica e irritato molti osservatori. Ma chi è stato, in realtà, Sergio Marchionne? Il documentario coprodotto da Mario Rossini per Red Film con Rai Documentari e Luce Cinecittà, è stato realizzato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund, per rappresentare la potenza e l’umiltà, l’autorevolezza e l’informalità di uno dei più grandi imprenditori italiani. Occhiali da vista e maglione scuro: Sergio Marchionne ha scelto di abbandonare le sembianze del manager in giacca e cravatta per preferire un’immagine pratica, semplice. Lì dove sembra paradossale, è la semplicità a rivoluzionare l’approccio classico del manager di punta, e questa direzione contribuì a rendere Marchionne un iconico leader senza eguali. Le testimonianze che abitano il documentario – di giornalisti, imprenditori, assistenti e colleghi – non sono voci distinte pronte a venerare le partite vincenti di Marchionne: il suo ricordo si fa monito per un pensiero coraggiosamente umile, che nel Duemila stravolse tutti gli ideali del tradizionale profilo imprenditoriale. Per giocare alla pari con i maggiori manager mondiali, Sergio Marchionne indossava sempre un pullover nero. Neppure cashmere, era solo di lana pesante. Che fosse per fronteggiare la più grande crisi della Fiat nel 2004, o al fianco di Obama ai tempi dell’acquisizione Chrysler, il maglione era comunque lo stesso di quando consultava gli operai in fabbrica.
Eppure, Sergio lavorava come un condottiero, in maglioncino invece che doppiopetto, nella convinzione che solo l’onestà intellettuale fosse l’unico modo per cambiare le cose, compresa la cultura aziendale. Quello che sembrerebbe solamente un’attitudine di stile personale, era invece la volontà di rivoluzionare l’atmosfera manageriale. Si potrebbe persino intendere come una filosofia, quella del metodo “maglione” di Sergio Marchionne, dove la (non) scelta dell’abito denota la cultura solo del fare e del lavorare, un modo di comunicare: la strategia acuta e umile di chi vuole fare la differenza concentrandosi sul risultato e mai sulla forma, nel modo e metodo di operare prima che sulla condizione. Se si può fare tanto, allora bisogna fare ancora di più: una mentalità che ha spesso osannato Marchionne per le sue intuizioni ma anche duramente criticato per i metodi e l’impatto a volte drammatico delle sue scelte. Tuttavia, quello che passa ai titoli di coda è un plauso al potere dell’ambizione, di chi è disposto anche a pagare per non essere comprato. La sfida dell’impossibile si riduce all’unica soluzione: fare, sarà sempre meglio che bramare. Fare è sempre lavorare, e lavorare bene – come direbbe Marchionne – può cambiare le cose… anche (o soprattutto) in maglioncino nero.
Il documentario va in onda in prima serata e ci sembra quasi anche un memorandum: il pretesto per considerare la nuova rivoluzione economica con la stessa serietà di chi non si risparmiava in funzione del mestiere. Con Marchionne il motore sembra essersi fermato, ma lo diceva sempre anche lui: “un buon leader sa che deve scegliere” e non si può negare quello che resta da decidere. E allora se per molti il documentario è stata una scelta pericolosa per richiamare vecchie critiche del passato, forse il rischio è più alto: ricordarsi di prendere in considerazione quelle del presente.