Venezia 79. Bardo: il ritorno in Messico di Iñárritu

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Di Giorgia Lanciotti

Oggi a Venezia è anche il giorno di Alejandro G. Iñárritu e di Bardo, Falsa crónica de unas cuantas verdades, presentato in Concorso alla Mostra del Cinema.

É il giorno di Iñárritu

Iñárritu © sky tg24

Iñárritu si presenta in sala stampa insieme ad un variegato gruppo di compagni di viaggi che, insieme a lui, hanno realizzato questo film. Ci sono il compositore Bryce Dessner, lo scenografo Eugenio Caballero, gli attori Íker Sánchez Solano, Daniel Giménez Cacho e le attrici Griselda Siciliani, Ximena Lamadrid, il co-sceneggiatore Nicolas Giacobone e il produttore S. Perskie Kaniss.

A sette anni dall’Oscar ricevuto per Revenant, il regista messicano torna dietro la cinepresa per dare vita a Bardo, Falsa crónica de unas cuantas verdades. Oggi, lo presenta alla Mostra del Cinema di Venezia e lo fa in un giorno molto importante per lui. L’1 settembre 2001, infatti, il regista lasciava il Messico, insieme alla sua famiglia, per trasferirsi a Los Angeles. Ritornare all’origine della propria identità e cultura per girare Bardo è stato quindi per lui come tornare davanti ad uno specchio. Ma il riflesso non somigliava più a quello che lui ricordava.

Iñárritu: «Bardo non è un’autobiografia emozionale ed emotiva»

Bardo vede Daniel Giménez Cacho nel ruolo di Silverio, un giornalista e documentarista messicano di fama internazionale, che vive da anni a Los Angeles con la sua famiglia. Quando Silverio riceve un prestigioso riconoscimento in ambito giornalistico, le contraddizioni tra il suo impegno civile e il premio stesso lo fanno precipitare in una crisi esistenziale che si alimenta anche col suo ritorno al paese di origine.

I ricordi e le paure riaffiorano nella sua mente, invadono il presente e riempiono i suoi giorni di un senso di sconcerto e stupore. Tra emozioni e abbondanti risate, Silverio lotta per trovare risposte a domande personali ma condivisibili, che riguardano l’identità, il successo, la fragilità della vita, la storia del Messico e i profondi legami sentimentali che condivide con la moglie e i figli.

Iñárritu: «Bardo è stato un parto liberatorio»

Un film di cuore, più che di testa: un viaggio nelle emozioni, nell’esplorazione di sè e della propria esperienza, finendo per essere una personale rivelazione che può essere però anche frutto di condivisione.

Ad Iñárritu non interessa tanto raccontare la verità con il suo cinema. Quello che gli sta a cuore è invece rielaborare una realtà che gli sembra altrimenti tanto noiosa, ed esplorarla, sviscerarla. Ed è curioso che, per farlo, abbia scelto un protagonista che di professione fa il giornalista e che, per definizione e per missione, ricerca proprio la verità. Ma alla fine, anche lui si rende conto che tutto è finzione, ogni cosa viene filtrata necessariamente da quello che abbiamo visto, conosciuto, dagli strumenti che ci sono stati consegnati, dal nostro bagaglio umano e culturale. E il film parla proprio di questo, della trasformazione costante che subisce ogni cosa, ogni evento. Anche la stessa storia, raccontata dai vinti e non dai vincitori, non sembra più la stessa storia. Dov’è la verità? Dove la menzogna?

Come cambierà il cinema di Iñárritu?

Gli attori e le maestranze che accompagnano oggi Iñárritu in sala stampa hanno contribuito a realizzare un film di cui si parla già molto bene e che potrebbe segnare l’inizio di una nuova fase per il suo cinema. Molto evidente il suo cambio di rotta verso un cinema più interessato alle emozioni degli esseri umani, a cui sta a cuore al viaggio in quella terra di mezzo che sta tra la realtà e l’immaginazione; un cinema fluttuante, onirico, dai bordi sbiaditi, forse sconfinato.
Gli chiedono se il suo cinema da oggi sarà diverso ed Iñárritu risponde: «No tengo un plan».

Giorgia Lanciotti

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