Quando due ragazze scompaiono, Paul Chartier, giovane e impulsiva recluta della polizia, viene assegnato a “Maldoror”. Quest’unità segreta è stata creata per monitorare un pericoloso maniaco sessuale. Quando l’operazione fallisce, stufo dei limiti imposti dalla legge, Chartier decide di dare la caccia ai colpevoli per conto suo. È questa la sinossi ufficiale di Maldoror, presentato fuori concorso a Venezia 81. A dirigerlo, Fabrice du Welz, acclamato maestro dell’horror e del thriller. Essendo belga, questo progetto è stato per lui, sin dall’inizio, importante e molto sentito; il film è, infatti, ispirato a un reale fatto di cronaca nera, che ha sconvolto il Belgio e l’Europa intera negli anni Novanta, e al serial killer noto come Il Mostro di Marcinelle.

La località, situata nella periferia meridionale di Charleroi, città con la quale è conurbata, è passata alla storia per il cosiddetto Disastro di Marcinelle, catastrofe avvenuta l’8 agosto 1956 in una miniera di carbone, dove morirono 262 persone, tra cui 136 lavoratori italiani. Tra il 1985 e il 1996,però, è tornata tristemente alla ribalta, a causa della scia di sangue e orrore lasciata da Marc Dutroux, che, in meno di un decennio, ha sequestrato e torturato sei ragazze dagli otto ai diciannove anni, abusandone sessualmente. Solo due delle vittime, Sabine Dardenne e Laetitia Delhez, di dodici e quattordici anni, sono sopravvissute alle sevizie; tutte le altre sono state uccise o sono morte di stenti.

Venezia 81: Maldoror, Marcinelle e una ferita mai sanata

Maldoror Venezia 81
Una scena di Maldoror, presentato fuori concorso a Venezia 81

Com’è facile immaginare, il caso ha scioccato la collettività di Charleroi, il Belgio e l’intero continente, incredulo di fronte a una tale brutalità. A indignare l’opinione pubblica, inoltre, la cattiva gestione del tutto da parte delle forze dell’ordine. Indagini impantanate a causa di rivalità interne ai corpi speciali, ritardi nelle operazioni, conflitti tra polizia giudiziaria, municipale e gendarmerie; errori, tanti, troppi, che hanno lasciato un assassino libero di perpetuare i suoi crimini per anni, e sono costati la vita a delle innocenti. Il male che genera il male, che causa altro male.

Ed è proprio il male a diventare il fulcro della conferenza stampa introduttiva di Maldoror, che verrà proiettato questa sera alle 21:30. Presenti davanti ai giornalisti il regista, il produttore Jean-Yves Roubin, l’attore Anthony Bajon, ovvero il protagonista Paul Chartier, i colleghi David Murgia, Alba Gaïa Bellugi, Alexis Manenti e Sergi López, che presta il volto a Dutroux. Diversi membri del cast, come si potrà notare leggendo i loro nomi, sono di origine italiana; la comunità nostrana, presente già dai tempi dell’incidente nelle miniere di Marcinelle, è ben radicata in quelle terre e, esattamente come tutti, ha vissuto e subito le nefandezze del Mostro e gli sbagli commessi prima di catturarlo. Ad assicurarlo è David Murgia, un cognome sardo che non lascia spazio a dubbi: «Faccio parte della comunità immigrata italiana nella provincia di Liegi. Ricordo e ho vissuto questo fatto molto forte, e ancora oggi ne siamo tutti increduli.».

Il regista Fabrice du Welz: Maldoror è «un film onesto»

Per du Welz la cosa fondamentale era realizzare una pellicola in grado di calibrare personaggi di finzione e realtà attraverso ricerche e analisi dei documenti dell’epoca, ma senza mettere da parte l’aspetto emotivo della faccenda. Per lui, Maldoror è «un film onesto sui fatti di Marcinelle, una tragedia che porta una sorta di catarsi alla sua popolazione». In effetti, per i cittadini belgi, trovarsi di fronte a una vera e propria guerra tra polizie è stato un colpo difficile da incassare. Osservare le persone incaricate della loro incolumità cadere in una non comunicazione, dettata dal timore che un organo prevalesse sull’altro, ha scosso il sistema nel profondo.

Il quesito alla base di Maldaror sembra essere chiaro: che cos’è il male? Vedere questo criminale compiere azioni inenarrabili in una casa sordida o la negligenza delle forze armate? La risposta, evidentemente, sta nel mezzo, ed è in grado di far vacillare la tenuta di un Paese. «Il Mostro di Marcinelle non è stato solo cronaca nera», afferma Du Welz, «ma un vero affare di Stato. La stessa costituzione ha rischiato di essere messa a soqquadro in quel periodo».

Venezia 81: Maldoror, il commento del cast

Calarsi in una parte è sempre impegnativo, ma, quando si affrontano determinate tematiche, il peso aumenta considerevolmente. Lo asserisce Bajon, che pur aveva già interpretato un poliziotto nel 2022, in Athena: «Stavolta è stato completamente diverso. Fabrice voleva che Chartier avesse una doppia faccia; da una parte un certo pragmatismo poliziesco, dall’altra un lato vigliacco e poco fiducioso nelle istituzioni.». Anche Alba Gaïa Bellugi concorda sulla difficoltà di avere a che fare con una storia del genere: «Ho empatizzato, in un certo senso, con il mio personaggio. Lei vive una storia d’amore terribile con una persona che cade in un inferno; si trova, quindi, a dover decidere: o bruci insieme a lui o tenti di salvare il possibile, e te stessa.».

A portare sulle spalle il carico maggiore, è però Sergi López, Marc Dutroux sullo schermo. Nel film viene citato Anthony Hopkins ne Il Silenzio degli Innocenti, paragonato al killer per efferatezza; a dire il vero, il pedofilo belga appare addirittura più crudele di Hannibal.

Ma cosa ne pensa il diretto interessato? «Ho sempre l’impressione che fare l’attore sua un piacere e, per un interprete, un villain è ancora meglio.» confessa López «In questo caso, però, si tratta di una storia talmente traumatizzante per il Paese che, a volte, ci si sente colpevoli nel provare soddisfazione nel recitare in una parte. Tu però stai lavorando, è finzione. Fabrice mi suggeriva di non tentare troppo di comprendere o di entrare in una testa così mostruosa e capace di tanto. Maldoror è un film che cerca di curare qualcosa di abominevole. Bisogna parlare e riparlare di ciò che è successo, è necessario piangere ancora».

Interviene Bajon: «Il nostro lavoro sul materiale non si è limitato a filmati e testimonianze scritte. Abbiamo fatto delle letture, sì, ma abbiamo soprattutto visitato i luoghi. Ci è servito per capire l’atmosfera e per parlare con la gente del posto.». Conclude Manenti: «Maldoror non è un documentario, ma un film. Non vuole solo ricostruire i fatti, ma tirarne fuori l’aspetto emozionale. Il suo scopo é risanare delle ferite ancora aperte nella comunità. Per questo occorre anche la finzione. Un altro tipo di percorso, altrettanto necessario. ».

Federica Checchia

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