
Wilhelm Richard Wagner nasce a Lipsia il 22 Maggio del 1813. Indubbiamente rappresenta, insieme a W.A. Mozart, una pietra miliare dell’evoluzione operistica in una connotazione di identità nazionale. Più di qualsiasi altro compositore tedesco, Wagner, ha saputo rappresentare ed interpretare la crescita e la cultura di supremazia teutonica che stava serpeggiando tra gli intellettuali. Librettista, poeta, regista, direttore d’orchestra e saggista. Il compositore tedesco non si esime di sperimentare e addentrarsi in altre forme artistiche, tanto che la sua produzione sarà atta alla determinazione dell’Opera d’arte totale, la Gesamtunkewerk.
Wagner, la rivoluzione teatrale

Fin da giovane, Wagner mostra una totale dedizione alla musica e a tutte le arti. Indeciso in giovane età se intraprendere la carriera di scultore, architetto o saggista. Sarà, tuttavia, una rappresentazione del Fidelio di Beethoven che rese fulgida e inequivocabile la scelta di intraprendere la carriera del compositore. Iniziano i suoi primi lavori, alcuni mai terminati a causa del suo impiego come direttore di diverse compagini tedesche, i quali risentono della tradizione nazionale operistica ma il primo lavoro connotato in senso wagneriano è, invero, l’Olandese volante (Der fliegende Holländer). Opera in cui prende subito le distanze dalle prassi esecutive tradizionali: i numeri chiusi subiscono una riduzione significativamente drastica. La percezione sarà, dunque, quella di un continuo flusso musicale. Inoltre, vi si può identificare in stato embrionale l’innovazione del Leitmotiv, elemento musicale col fine di connotare un’atmosfera o un personaggio. Tutti questi “suggerimenti” appariranno nell’overture dell’opera stessa. Nell’Olandese Volante, pertanto, si palesano i primi segni di una titanica rivoluzione teatrale che Wagner attuerà e porterà a termine influenzando la realtà musicale mitteleuropea. Il radicale cambiamento che Richard Wagner vuole apportare al teatro non è, come vedremo, esclusivamente dal punto di vista musicale. La rivoluzione si attua anche nella prassi sociale delle rappresentazioni teatrali: nella tradizione propriamente detta italiana, infatti, il teatro più che un momento culturale aveva una connotazione pretestuale in cui l’opera era catalizzatore di relazioni interpersonali. Wagner spegne le luci in sala e infiamma di un’aura sacrale il luogo del teatro. Le luci spente e l’orchestra nel golfo mistico, nascosta alla vista degli spettatori, contribuivano alla percezione di una musica come propaggine di una dimensione altra.
Il Crepuscolo tonale
Prima di andare alla scoperta del Durchbruch tonale (sfondamento), attuato da Wagner, risulta necessario accennare a quelle che erano la prassi e le tecniche musicali messe in atto fino a quel momento. Innanzitutto il concetto tonale era ben strutturato e inequivocabile, dunque ogni susseguirsi dei suoni composti dall’autore avevano una loro continuità e, quindi, si permetta il termine, una prevedibilità percettiva. Inoltre vi era la prassi dei così detti numeri chiusi: le arie, ovvero i momenti per cui gli spettatori si ricordano un motivo e vanno uscendo cantando la donna è mobile!, erano separate da momenti connotati, come i recitativi, in cui la musicalità era sostituita da un maggiore dinamicità narrativa. Quindi, lo stacco tra un numero chiuso e l’altro era più che evidenziato per captare l’attenzione del fruitore e segnalare che stava giungendo un episodio musicale saliente. Wagner annulla e rifiuta questa prassi: il teatro è un rito sacro e in quanto tale l’attenzione dell’accolito deve essere idealmente perpetua. Musicalmente, quindi, il compositore tedesco sviluppa una tecnica di scrittura assai complessa. Per poter rendere la musica un flusso continuo, il discorso sonoro deve inevitabilmente complicarsi ed essere reso sempre più fluido senza momenti che possano segnare una cessazione del discorso musicale. La tecnica quindi risulta una continua perifrasi, un allungamento continuo della sintassi. Tutto questo vòlto a tener viva e ad esasperare la naturale tendenza percettiva tesa a desiderare quella conclusione del discorso. Epilogo, che giunge in modo tutt’altro che prevedibile all’ascoltatore avvolto dal buio sacrale e dal suono mistico dell’orchestra.
Nietzsche e Hitler a teatro
La Tetralogia wagneriana meglio rappresenta quello spirito tedesco che il compositore è assiso a sublimare. In essa la tradizione antica popolare precristiana si fa voce di una nazione che afferma le sue origini pagane e indipendenti dall’Europa. La saga composta da quattro opere, di cui egli stesso è il librettista, prende gli spunti narrativi dall’epopea germanica del Nibelunglied (Il canto dei Nibelunghi) da cui il nome della tetralogia, L’Anello del Nibelungo. Composta idealmente da tre giornate, il ciclo inizia con un prologo, l’opera L’Oro del Reno, a seguire la prima giornata La Valchiria, quella successiva il Sigfrido. L’epilogo, come suggerisce il titolo è Il Crepuscolo degli dèi.
Ad assistere ai successi del compositore tedesco vi è tra i vari intellettuali un filosofo con cui avrà un rapporto controverso e complesso: Friedrich Nietzsche. L’intellettuale nichilista, infatti, palesa la sua stima nella dedica del suo trattato La nascita della tragedia, testo in cui traspare la distinzione tra apollineo e dionisiaco e una necessità filosofica e intellettuale della ripresa di quei temi antichi e pagani scevri da un moralismo e determinismo di impronta ebraico-cristiana. Risulta superfluo, pertanto, inoltrarsi a specificare le motivazioni per cui Nietzsche vedesse in Wagner un innovatore e un fulgido esempio di salvezza. Almeno in prima istanza, poiché, dopo una accesa palinodia attuata dal filosofo, il compositore si rivelò agli occhi di Nietzsche un mero sintomo di una malattia dilagante. La decadenza dei costumi e della cultura tedesca per cui aveva in esso una cruda rappresentanza. Questo perché a parere di Nietzsche, Wagner iniziò a prendere declinazioni troppo nazionaliste e popolari con una degenerazioni verso l’antisemitismo.
Wagner nella propaganda Nazista
Nel secolo successivo, infatti, durante il regime Nazista di Adolf Hitler, il compositore subì una forte strumentalizzazione. In Wagner la propaganda culturale dittatoriale vedeva il monumento della Nazione e dell’Identità tedesca. Il recupero delle saghe e delle epopee pagane e antiche attuate dal compositore erano orribilmente funzionali alla costruzione dell’immagine della cultura nazionale che Hitler voleva diffondere e imporre. Inoltre la maestosità e la complessità del discorso musicale ben si confacevano a rappresentare una Nazione in cui era imperativo e ineluttabile il morbo insistente di un über alles (al di sopra di tutti). Wagner, e non Beethoven, è quindi il musicista, l’uomo e l’intellettuale tedesco per eccellenza. Il compositore di Bonn troppo rimanda ad un’ispirazione del genio individuale e della libera espressione di pensiero intellettuale.
Dopo Wagner
Il mondo musicale è inevitabilmente cambiato in tutta Europa, il solco wagneriano è profondo e irreversibile. Wagner apre la strada a nuovi linguaggi: la scrittura tonale subisce una forte crisi e si apre una stagione altra in cui la semantica perde il suo significato gerarchico e funzionale per traghettarsi verso quello che sarà, tra le tante correnti del primo ‘900, la dodecafonia. Come sempre la storia insegna, una rivoluzione porta sempre ad una crisi che è preparatrice di nuovi orizzonti.
Paolo de Jorio
Seguici su Google News