Winnie the Pooh, la vera storia del personaggio immaginario creato da  Alan Alexander Milne. Successivamente, Walt Disney ne farà il protagonista di una celebre serie di cartoni animati. Dapprima, adattandoli alle storie originali e, in seguito, creandone delle nuove. Nel nuovo appuntamento della rubrica Letteratura per l’Infanzia un’analisi sull’orso più amato dai bambini.

Winnie the Pooh, la vera storia: quando le difficoltà diventano fiabe

Winnie The Pooh storia
A.A. Milne e il figlio Christopher omonimo narrativo nell’opera del padre, ”Winnie the Pooh” – Photo Credits: Twitter.com

La vera storia di Winnie The Pooh inizia nel 1914. A quei tempi, un treno colmo di militari viaggiava verso White River, una piccola città sita in Ontario, Canada. Harry Colebourn è un ventisettenne inglese trasferitosi in Canada per studiare chirurgia veterinaria. Durante una passeggiata per White River, il tenente Colebourn notò un cucciolo di orso nero di circa sei mesi; il piccolo era tenuto al guinzaglio da un bracconiere che cercava di venderlo. La scena suscitò nel giovane militare una profonda commozione, tanto da decidere di prendere con sé il piccolo orso. Rientrato in treno si accorse che, il suo nuovo amico, era un esemplare femminile e decise di chiamarla Winniepeg, nome della sua città d’origine.

Ben presto fu soprannominata Winnie ed instaurò un profondo legame sia con il tenente che con gli altri soldati. Colebourn la addestrò a dovere: dormiva sotto il suo letto e le dava mele e latte condensato, rinforzando positivamente gli eventuali comportamenti idonei messi in atto dalla piccola Winnie. Per via della Grande Guerra imminente, il tenente portò l’orsa al London Zoo, con la promessa di riportarla in Canada a guerra finita. Purtroppo, il conflitto mondiale si protrasse per anni e, una volta rivista la piccola orsa, si accorse che era sì, cresciuta, ma docile e buona come un tempo. Non solo: la sua mitezza aveva fatto in modo che i bambini, andandola a trovare, potessero avvicinarsi a lei e giocarci in sicurezza. Colebourn capì che ormai, Winnie, apparteneva a Londra e non se la sentì di riportarla in Canada.

Winnie the Pooh, genesi del personaggio


Fra la moltitudine di bambini che andavano a visitare Winnie c’era un giovane ragazzo, Christopher Robin Milne, che chiedeva spesso al padre  A.A. Milne di portarlo allo zoo ad abbracciare l’orsa. Il ragazzo si affezionò talmente tanto a lei che decise di chiamare il suo pupazzo di pezza Winnie the Pooh. L’orsacchiotto di Christopher Robin insieme agli altri pupazzi che possedeva, ispirarono, successivamente, i personaggi dei noti racconti del padre. E’ il 1924 quando pubblica il libro per bambini When We Were Very Young, seguito dal volume Winnie-the-Pooh. Winnie Pooh è un orsacchiotto di pezza intento, principalmente, a nutrirsi di miele e a comporre poesie; la sua abitazione è una vecchia quercia. Ben presto le fiabe di Milne si popolarono di altri personaggi fantastici: Ih-Oh l’asinello, Pimpi il maialino, Tigro la tigre saltellante, la mamma-canguro Kanga, il coniglio Tappo e il gufo Uffa. Winnie Pooh è un giocattolo animato: tuttavia, la particolarità, non è mai menzionata esplicitamente nelle opere del suo creatore.

Winnie the Pooh, A.A. Milne e il Disturbo Post-Traumatico da Stress

A.A. Milne aveva partecipato, come il tenente Colebourn, alla Prima Guerra Mondiale. L’idilliaco Bosco dei Cento Acri, ambientazione che si ritrova nelle sue storie con protagonista l’orsacchiotto di pezza, non è altro che una realtà parallela: un rifugio immaginario e arcadico in cui sostare metaforicamente, dimenticando le atrocità vissute durante il periodo di guerra. Milne definì le situazioni sperimentate durante il conflitto e, la stessa guerra, come una condizione di ”degrado psichico e morale”. Pare, infatti, che l’autore di Winnie The Pooh, soffrisse di Disturbo Post Traumatico da Stress come moltissimi soldati reduci dalla Grande Guerra.

Il successo letterario del padre, ebbe ripercussioni negative sul vero Christopher Robin: l’improvvisa visibilità innescò un rapporto conflittuale con la storia che vedeva protagonista il suo omonimo letterario. Il padre, non percepì inizialmente la gravità della situazione: Christopher, intorno agli otto anni, iniziò a subire bullismo a scuola. La situazione portò il ragazzo al disprezzo totalizzante verso le storie di Winnie the Pooh, inventate dal padre. Christopher, fino alla sua morte avvenuta nel 1996, all’età di 75 anni, ebbe un rapporto contrastante con il suo alter-ego narrativo. Provando un vero e proprio risentimento nei confronti del padre, affermò:

 “Mi aveva tolto il nome e mi aveva lasciato con la fama vuota di essere suo figlio”

La falsa teoria sulle malattie mentali

Molti ipotizzarono che ogni personaggio dell’opera di Milne, rispecchiasse una malattia mentale, ma, in seguito, la teoria fu smentita. Tuttavia, si riscontrò che alcuni comportamenti dei protagonisti della favola convergessero con atteggiamenti perpetuati dai malati. Un numero del Canadian Medical Association Journal incluse uno studio dal titolo “Patologie nel Bosco dei 100 Acri: uno sguardo sulla neuropsicologia dell’opera di A.A. Milne”:

  • Winnie the Pooh: disturbi da deficit di attenzione, iperattività, ossessivo-compulsivo;
  • Pimpi: disturbo d’ansia generalizzato;
  • Ih-Oh: distimia;
  • Uffa: dislessia;
  • Tappo: disturbo da personalità narcisistica;
  • Tigro: disturbi da deficit di attenzione, iperattività;
  • Christopher Robin: disturbo dell’identità di genere;

Pare che l’obiettivo dello studio, però, volesse dimostrare come anche chi vive in un ambiente apparentemente fatato e tranquillo, possa soffrire di disturbi mentali. La ricercatrice a capo del progetto, Sarah Shea, riconobbe come nelle opere di Milne ci fossero dei lati oscuri appartenenti allo scrittore – probabilmente dovuti ai traumi subiti in guerra -, successivamente riflessi nei personaggi antropomorfizzati della storia. Ma affermò che, la chiave per interpretare i celebri libri risiedeva nell’amore e nel perdono: infatti, le storie di Milne, sono un esempio positivo di come le persone dovrebbero comportarsi.

Stella Grillo

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